L’alieno che reinventò il rock (Made in Japan #8)

Holger Czukay e Irmin Schmidt erano allievi di Stockhausen a Colonia quando decisero di formare un gruppo rock reclutando Michael Karoly e Jaki Liebezeit. Il gruppo, inizialmente chiamato Inner Space Production, diventò Can con l’arrivo del cantante Malcolm Mooney.

Gruppo dalla tecnica mostruosa ma ancora dentro gli schemi i Can trovarono, per sostituire Mooney, l’alieno Damo Suzuki.

Varie leggende circolano su come avvenne l’incontro tra il gruppo e il cantante giapponese che da anni girovagava per le comuni hippie d’Europa sostenendosi come artista di strada.

Sta di fatto che la voce di Damo segnò i capolavori del gruppo Ege Bamyasi e Tago Mago vertice assoluto del krautrock e della musica tutta.

Lo scheletro del blues (Made in Japan #7)

Ecco il disco gemello di Debon dei Brast Burn: Alomoni 1985 dei Karuna Khyal. Due lunghi collage sonori su scheletri blues laddove il gemello era più legato alla psichedelia. Stesse menti dietro i due progetti? Difficile dirlo visto l’aura di mistero che circonda tanti musicisti giapponesi.

Cuore di pietra (Made in Japan #6)

La sanukite è una roccia vulcanica. La velocità del suono nella sanukite è di circa sei chilometri al secondo. Prima che musicisti come Stomu Yamashta, percussionista ed enfant prodige nipponico, e Lionel Hampton, eccezionale vibrafonista jazz, scoprissero le qualità sonore della sanukite ci avevano pensato già i monaci buddisti ad utilizzare la sanukite nei templi per estrarre suoni durante le funzioni.

“Lo strumento parlava da solo. Era un universo in sé. E io dovevo essere e sentirmi parte di quell’universo. Questo più grande Sé, universale, che noi chiamiamo dai-ga, doveva incorporarmi. E quando sono diventato consapevole dell’esistenza di questo grande Sé, solo allora ho fatto esperienza del vuoto, del silenzio: sono diventato davvero parte del cosmo”

Panni sporchi (Made in Japan #5)

Sulle mani lordate di sangue di Keiji Haino si coagulano i grumi sonori di un delitto efferato che si ripete continuamente in una discografia sterminata e incerta fatta per lo più di pessime registrazioni live. Una delle catastrofi più imponenti e clamorose è il primo live a nome Fushitsusha, pubblicato nel 1989 ma probabilmente risalente al 1978. Un massacro sonico di quasi cento minuti sul corpo del blues e della psichedelia degli anni sessanta. Scommetto che a Jimi Hendrix sarebbe tanto piaciuto!

La new wave possibile (Made in Japan #4)

I Totsuzen Danball sono un duo, formato dal batterista e cantante Eiichi Tsutaki e dal chitarrista Syunji Tsutaki, che vanta collaborazioni con musicisti del calibro di Fred Frith e Lol Coxhill. Il loro disco Naritatsukana? / Can I? del 1981 è un gioiellino di musica new wave / art-rock. Straniante nella voce e nelle ritmiche continuamente spezzate con una fantastica cover dell’arcinota Ragazza di Ipanema di Vinicius de Moraes e Antonio Carlos Jobim, forse il più celebre brano al mondo di bossa nova. Disco di difficile reperibilità come quasi tutte le produzioni nipponiche ma assolutamente da ascoltare.

La terra del mistero (Made in Japan #3)

Un’aura di mistero circonda molti album di culto nipponici: quando sono stati registrati? Chi erano i musicisti? Chi li ha messi in circolo?

Uno di questi carneadi è fa parte di due LP editi dall’etichetta Voice Records (probabilmente un negozio di dischi di Tokyo). Il primo è Debon dei Brast Burn licenziato nel 1974 oppure nel 1975, l’altro è Alomoni 1985 dei Karuna Khyal. Molto simili nei suoni c’è chi sospetta che dietro ci siano le stesse menti (deviate ovviamente).

Due lunghi flussi sonori che coprono le due facciate del vinile tra psichedelia, musica tradizionale, elettronica.

Viaggi al termine della notte (Made in Japan #2)

Un disco da ore piccole quello dei Tolerance, duo femminile nipponico con all’attivo un paio di album per l’etichetta Vanity, Anonym (1979) e Divin (1981).

Masami Yoshikawa alla chitarra e Junko Tange al piano, voce ed elettronica, disegnano sul disco d’esordio paesaggi da sogni disturbati. Il brano JUIN-Irénée pare anticipare certe cantilene pigre di Kim Gordon dei Sonic Youth, il conclusivo Voyage Au Bout De La Nuit omaggia Celine  con un suono  aspro e insistito che ben evoca il capolavoro dello scrittore francese.

Luoghi non comuni (Made in Japan #1)

L’associazione mentale furgoncino Wolkswagen = figli dei fiori è assolutamente automatico. E al figlio dei fiori di turno nove volte su dieci si assoceranno connotati scandinavi o nord-europei.

In questo documentario c’è un furgoncino che parte dall’Olanda, girovaga per l’Europa, c’è uno spezzone girato in Italia in pieno periodo elettorale,  si spinge fino in India. Contrariamente a quanto ci si aspetterebbe gli allegri passeggeri sono un gruppo di musicisti giapponesi che non cantano di pace e amore ma suonano una musica molto ostica che lambisce territori tra il concretismo e l’avanguardia. Il loro nome, sincera dichiarazione di intenti, è Taj-Mahal Travellers.

Inclusi a buon diritto da Julian Cope nel suo Japrocksampler tra i campioni del rock nipponico hanno al loro attivo tre album costituiti da lunghe jam intitolati semplicemente Live Stockholm July 1971, July 15, 1972 e August 1974. Estremamente lunga e varia invece la discografia del più famoso dell’ottetto, Takehisa Kosugi, violinista, già facente parte del Group Ongaku e collaboratore del gruppo Fluxus.

Anatolia elettrica (Mamma li turchi #2)

Uno dei massimi esponenti dell’Anatolian Rock è il chitarrista Erkin Koray, nato nel 1941. Il suo primo singolo è del 1967 ma dovrà aspettare fino al 1974 per esordire sulla lunga distanza: il risultato sarà l’ellepì Elektronic Türküler che fonde psichedelia, progressive e folk turco. I dieci minuti finali di Türkü suggellano un disco che merita di essere recuperato dal dimenticatoio. Buon ascolto.

Nonne elettriche (rumore rosa #2)

Pochi giorni fa se ne è andato Pierre Henry, uno dei padri della musica concreta e tra i principali collaboratori dello Studio d’Essai di Pierre Schaeffer. Da lì sono passati quasi tutti i pionieri della musica elettronica e tra questi va annoverata anche Eliane Radigue che vi arriva, poco più che ventenne, nel 1955.  Parigina di quel quartiere medievale di Les Halles che oggi non esiste più, iniziata alla musica classica, dai primi esperimenti di musica concreta approderà  con gli anni a un minimalismo sempre più personale.

Come L’île re-sonante, una delle sue migliori prove, composta nel 2000 e pubblicata nel 2005.