Thirty seconds over Tokyo (Made in Japan #20)

Nella primavera del 1942 Tokyo fu bombardata per la prima volta dai B-25 americani. L’operazione Doolittle non provocò molti danni ma dimostrò la vulnerabilità aerea del Giappone. Nel ’44 la storia del raid statunitense fu trasposta al cinema da Thirty seconds over Tokyo. La pellicola, di manifesta propaganda bellica, vedeva tra gli interpreti anche Spencer Tracy, Robert Mitchum e un giovane Blake Edwards che raggiungerà la notorietà non come attore ma come il regista di Hollywood Party e delle varie Pantere Rosa.

La vicenda ispirerà il primo singolo dei Pere Ubu di David Thomas edito dalla Hearthan nel 1975. Il testo, visionario, racconta il bombardamento della capitale giapponese e la follia della guerra. Il retro del singolo è l’altrettanto evocativo Heart of Darkness. Il capolavoro della band di Cleveland, The Modern Dance, uscirà solo nel ’78 ma già questo singolo, da solo, vale più dell’intera discografia di mille altre band.

Flew off early in the haze of dawn 
in a metal dragon locked in time, 
skimming waves of an underground sea 
in some kind of a dream world fantasy

Sun a hot circle on a canopy, 
’25 a racing blot on a bright green sea 
Ahead the dim blur of an alien land, 
time to give ourselves to strange gods’ hands

Dark flak spiders bursting in the sky, 
reaching twisted claws on every side 
No place to run, 
no place to hide, 
no turning back on a suicide ride

Toy city streets crawling through my sights, 
sprouting clumps of mushrooms like a world surreal 
This dream won’t ever seem to end, 
and time seems like it’ll never begin 
30 seconds, 
and a one way ride 
30 seconds, 
and no place to hide 
30 seconds over Tokyo

Alta fedeltá (Made in Japan #19)

Ho scovato in uno dei giganteschi negozi di elettronica di Tokyo un paio di auricolari (A U R I C O L A R I !!) da circa 700 €. Mi piace ascoltare la musica e sono contento se posso ascoltarla con la giusta resa acustica, i bassi come si deve e tutto il resto. Ma rimango basito quando trovo audiofili disposti a spendere cifre spropositate per ascoltare poi cosa? Musica comunque digitalizzata e che ha giá perso quindi la presunta purezza del suono originario? E le imperfezioni dovute alla registrazione? Ai microfoni, agli ambienti, agli esecutori stessi… Vorrei prendere un disco a caso della Japrocksampler, la lista di dischi memorabili del rock nipponico stilata da Julian Cope, farlo sentire all’anonimo acquirente degli auricolari di cui sopra e vedere poi l’effetto che fa! Oppure l’arcinota Tintarella di Luna di Mina eseguita dai noisers Melt Banana.

Nell’inferno del pachinko (Made in Japan #18)

Ho capito quanto fosse azzeccata l’associazione dell’inferno con il pachinko quando sono entrato in una delle tante sale di Tokyo dedicate al diabolico gioco. Corridoi assordanti di luci intermittenti dove giocatori di ogni età, fianco a fianco, fissano queste piccole sferette metalliche di questi incroci aberranti di flipper e slot-machine.

In the Hell of patchinko è la registrazione di un concerto tenuto a Tokyo nel 1991 dai francesi Mano Negra che, per la loro musica incrocio di generi, coniarono il termine patchanka, titolo tra l’altro del loro esplosivo album d’esordio.

Echi d’Africa (Made in Japan #17)

Akira Ishikawa, batterista jazz, classe 1934, compie un viaggio in Africa nel 1970. Comincia a incorporare nelle sue composizioni elementi della musica locale. Dopo alcuni album di transizione Akira registra nel 1972 l’album Uganda accreditato ai Count Buffalo. Kimio Mizutani, alla chitarra, butta benzina sul fuoco delle ritmiche imbastite dalle percussioni e caratterizza questo dai dischi successivi di Ishikawa, piú virati verso il jazz.

L’asse Roma-Tokyo-Berlino (Made in Japan #16)

Here we are / Stuck by this river / You and I / Underneath a sky that’s ever falling down, down, down / Ever falling down

Metti la cornice di Villa Massimo a Roma. Metti Carsten Nicolai da Berlino, nome d’arte Alva Noto. Metti il maestro Ryuchi Sakamoto e il suo pianoforte. E metti pure Brian Eno e la sua meravigliosa By this river qui presentata dai due musicisti in una versione che ne esalta la scheletrica bellezza. C’è bisogno d’altro?

Through the day / As if on an ocean Waiting here / Always failing to remember why we came, came, came / I wonder why we came

You talk to me / As if from a distance / And I reply / With impressions chosen from another time, time, time / From another time

Rapid Eye movement (Made in Japan #15)

I Boredoms del cantante Yamatsuka Eye hanno scritto alcuni dei capitoli piú radicali del noise nipponico. Il loro sound percussivo e fantasioso, dove la sorpresa continua è la norma, trova, dopo una serie di album assolutamente ostici, una forma fruibile in Vision Creation Newsun del 1999, un fragorosissimo caleidoscopio sonoro.

Piú reale del vero (Made in Japan #14)

Ciclicamente certi suoni tornano di moda. L’effetto del revival é spesso trito e triste con sfumature che vanno dallo scimmiottamento alla parodia. Ci sono gruppi invece che riescono a impossessarsi di un genere e a sfornare dischi che, anche se fuori tempo massimo, avrebbero potuto competere con gli originali. Un esempio potrebbe essere la psichedelia di Out dei White Heaven. Ascoltatevi i nove minuti di Falling Stars End, terza traccia dell’album, tra reminiscenze West Coast e echi rollingstoniani, e poi ditemi se vi pare un disco inciso nel 1991.

Nomen omen (Made in Japan #13)

La genealogia è chiara. Boris è un brano dei seminali ed imprescindibili Melvins (e non mi dilungo sul fatto che senza il trio di Aberdeen non ci sarebbero stati i Nirvana). Boris è il nome scelto da tre ragazzi giapponesi per il loro gruppo e che esordiranno nel 1996 con Absolutego, un’unica traccia di 65 minuti, un flusso di doom nel nome dei padri putativi.

In religioso ascolto (Made in Japan #12)

Tanti musicisti degli anni sessanta andarono in India (due nomi per tutti, Beatles e Bob Dylan) o in Nordafrica (Rolling Stones) in cerca di ispirazione e, spesso e volentieri, sostanze psicotrope su cui sorvoliamo. In altri paesi c’era già una tradizione millenaria cui attingere e incorporare nella propria musica. Nel 1970 il supergruppo People, messo su dalla casa discografica A&R e capitanato dal chitarrista Kimio Mizutani, registra CeremonyBuddha meet rock. Al rock di matrice anglosassone si sovrappongono in maniera molto naturale i suoni cerimoniali buddisti. Un esperimento nato per fare cassa ma per una volta anche qualitativamente valido.

La via del guerriero (Made in Japan #11)

Un sicario afroamericano dedito all’allevamento di piccioni e alla lettura dell’hagakure (il codice di comportamento dei samurai) è al soldo della malavita di origine italiana. Da presupposti così bislacchi prende il via Ghost dog, un bel film di Jim Jarmusch, uscito nel 1999 e con protagonista Forest Whitaker.

Il film è sorretto dall’eccellente colonna sonora curata da RZA dei Wu Tang Clan, il collettivo rap newyorkese innamorato dei film di arti marziali. Disco quindi americano ma imbevuto della cultura e dell’etica del Sol Levante.