La silenziosa via

Registrato nel febbraio del 1969 In a Silent Way è In pratica il prologo di Bitches Brew, il capolavoro “elettrico” di Miles Davis. Qui c’è già quasi tutta la formazione che collaborerà col geniale trombettista e soprattutto compare quel modus operandi fatto di improvvisazione in studio e riassemblaggio dei nastri in post-produzione con l’apporto del fondamentale Teo Macero.  Miles Davis, che in quel periodo guardava al rock e sperava in una collaborazione con Jimi Hendrix, arruola John McLaughlin alla chitarra elettrica, Dave Holland al basso, Tony Williams alla batteria, Wayne Shorter al sax soprano e ben tre tastieristi, Chick Corea, Herbie Hancock e l’austriaco Joe Zawinul.

Il picchiatore

Durante le registrazioni di Electric Ladyland Jimi Hendrix chiamò dietro rullanti e tamburi per un paio di brani il batterista degli Electric Flag, il corpulento Buddy Miles, perché secondo lui “picchiava a morte la batteria”. Più tardi, arruolato anche Billy Cox al basso, Jimi diede vita alla Band of Gypsys, formando così un trio di soli neri. Breve esperienza che sfociò in un live tratto da quattro concerti tenuti a New York nel periodo di capodanno del 1970.
Per Buddy Miles, che aveva già alle spalle l’esperienza blues psichedelica degli Electric Flag e un paio di dischi solisti, Expressway to your skull ed Electric church, la carriera continuò tra collaborazioni prestigiose con Santana e John McLaughlin (un disco live registrato con il primo dentro il cratere di un vulcano alle isole Hawaii), disavventure giudiziarie e problemi con la droga.
Ne uscì fuori solo negli anni ’80 quando ottenne anche un grosso successo cantando un pezzo di Marvin Gaye per una pubblicità di uvette californiane!

Panni sporchi (Made in Japan #5)

Sulle mani lordate di sangue di Keiji Haino si coagulano i grumi sonori di un delitto efferato che si ripete continuamente in una discografia sterminata e incerta fatta per lo più di pessime registrazioni live. Una delle catastrofi più imponenti e clamorose è il primo live a nome Fushitsusha, pubblicato nel 1989 ma probabilmente risalente al 1978. Un massacro sonico di quasi cento minuti sul corpo del blues e della psichedelia degli anni sessanta. Scommetto che a Jimi Hendrix sarebbe tanto piaciuto!