Il Blitz del Duca

“La gente se ne stava sotto la pioggia di Soho in galloni dorati e copricapo a tamburello, in attesa di entrare. Cosacchi e regine si mescolavano allegramente e il narcisismo era alle stelle. Erano tutti quanti vestiti come sovrani, mentre in realtà si trattava di ex punk che si inventavano i vestiti sulle macchine da cucire della mamma, nelle loro casette di periferia, o nelle case occupate della vicina Warren Street” (Steve Strange, buttafuori del Blitz e cantante dei Visage)
Nate per vivacizzare il mortorio del giovedì sera le Bowie night vivacizzarono le autunnali serate londinesi del ’78 già stanche del punk. Inaugurate nel piccolo club Billy’s si trasferirono nel febbraio del ’79 al più capiente Blitz di Covent Garden. Il Blitz era di fronte alla sede dei Freemassons ed era circondato da sartorie che vendevano abiti da cerimonia massoniche. L’interno era decorato da grandi murali che ricordavano i bombardamenti tedeschi su Londra della seconda guerra mondiale.
Qui si riunivano tutti i punk che, abbandonate le creste, riscoprivano il look del glam tra berretti, divise, fusciacche e trucco a volontà. Il repertorio musicale andava dal cabaret tedesco degli anni trenta di Marlene Dietrich all’elettronica dei Kraftwerk passando ovviamente per quella di David Bowie. Il Blitz divenne ben presto popolarissimo e troppo pieno per contenere tutti: anche Mick Jagger dei Rolling Stone conobbe l’altolà del dispotico Steve Strange. Non gradì l’affronto e se ne andò offeso altrove.
Tra  gli avventori fissi, membri di tanti gruppi più o meno famosi e più o meno degni di essere ricordati. Su tutti, David Bowie in persona che arrivò una sera portando lo scompiglio generale . A fine serata Bowie chiese a Steve Strange di comparire con altri clienti del club nel video che avrebbe girato l’indomani: sono loro quelli che seguono Bowie e a loro volta sono seguiti da un escavatore nel video di Ashes to Ashes.
Colto da tanta popolarità lo stesso Strange, con il compare Rusty Egan e il tastierista Billy Currie (poi Ultravox!), entrò in studio di registrazione e realizzò, con l’estemporaneo moniker di Visage, il singolo Fade to Grey subito balzato al secondo posto delle charts britanniche e al primo in nove paesi stranieri!
“Non molto tempo fa sono stato a Berlino, e attraverso il Muro ho dato uno sguardo a Berlino Est […]; tutto mi appariva cupo e grigio, strano, minaccioso. Subito dopo ho visto un uomo anziano camminare stanco con un bastone. Sì, stanco e deluso dalla vita. È stato in quel momento che l’idea di Fade to Grey aveva preso forma: entrare nella vecchiaia, nell’oscurità, sprofondare nel niente. È questo ciò di cui parla la canzone” (Steve Strange)

Clangori dalla cella frigorifera

Il Cold Storage era una ex-cella frigorifera adibita a studio di registrazione nel quartiere londinese di Brixton. Il quartiere è famoso per l’emblematica Guns of Brixton dei Clash col bassista Paul Simonon che sul finire degli anni settanta cantava l’aria di rivolta delle periferie britanniche . Al Cold Storage, con la complicità di quelle adiabatiche pareti metalliche, i This Heat cominciarono a manipolare nastri su nastri che videro poi la luce nei due album This Heat (1979) e soprattutto Deceit (1981). Se l’attitudine era quella dell’ingenuo e incolto punk la musica, che attingeva a piene mani tanto alla scena canterburyana versante Rock In Opposition quanto alla nascente scena industriale, era invece estremamente consapevole e strutturata potendo contare su ottimi musicisti ben svezzati come il batterista Charles Hayward già  nei Quiet Sun di Phil Manzanera,

Scherzo mortale

The atmosphere’s strange / Out on the town / Music for pleasure? / It’s not music no more / Music to dance to… / Music to move? / This is music to march to! / Do a wardance”

Non c’era molto di cui compiacersi nella turbolenta Inghilterra del post-punk. E i Killing Joke arrivarono a gettare ulteriore benzina sul fuoco. Nacquero dall’incontro, leggenda vuole in un ufficio di collocamento londinese, tra giovanni disoccupati e arrabbiati. Nel marzo del 1980 uscì il singolo Wardance, in copertina Fred Astaire che balla su cumuli di macerie. Poi il primo album, con un’altra copertina programmatica, una foto di guerriglia urbana in un bianco e nero molto saturo e una serie di pezzi al vetriolo. Ci vorranno altri album prima che le vampe dell’esordio comincino ad apparire meno minacciose.

Attenti al bruco

Settetto londinese, i Catapilla (corruzione linguistica di caterpillar che qui sta letteralmente per bruco e non per il macchinario per la manutenzione stradale) vissero pochi anni senza diventare farfalle. Due ottimi dischi di jazz-rock venati di psichedelia e impreziositi dalle straordinarie doti vocali di Anna Meek, entrambi licenziati dalla Vertigo, l’omonimo Catapilla (1971) e Changes (1972).

Il sangue di Cristo

Se diffidate delle religioni ma credete nella religiosità ecco un disco di musica sacra: “Jesus’ blood never failed me yet” di Gavin Bryars. In realtà il protagonista di questa storia non è Gavin Bryars e il disco non è stato registrato tra le austere navate di una cattedrale: il musicista inglese, girovagando per le vie di Londra con un registratore per la realizzazione di un documentario captò tra voci e schiamazzi assortiti anche la voce di un ignoto barbone che canticchiava questa canzone nel tunnel della metropolitana.  Pochi secondi dalla forza misteriosa che si prestavano ad essere messi in loop.
When I played it at home, I found that his singing was in tune with my piano, and I improvised a simple accompaniment. I noticed, too, that the first section of the song – 13 bars in length – formed an effective loop which repeated in a slightly unpredictable way. I took the tape loop to Leicester, where I was working in the Fine Art Department, and copied the loop onto a continuous reel of tape, thinking about perhaps adding an orchestrated accompaniment to this. The door of the recording room opened on to one of the large painting studios and I left the tape copying, with the door open, while I went to have a cup of coffee. When I came back I found the normally lively room unnaturally subdued. People were moving about much more slowly than usual and a few were sitting alone, quietly weeping”.
L’idea di Bryars fu allora quella di reiterare quell’unica frase accompagnandola con un crescendo di strumenti. Nacque così questo pezzo eseguito la prima volta nel 1972 e messo su disco per l’etichetta di Brian Eno nel 1975.
Poi nel 1993 Gavin Bryars ricevette una telefonata di Tom Waits che cercava quel vinile ormai introvabile. Quella strana richiesta fu la scintilla che portò alla registrazione ex novo dell’album stavolta esteso a 74 minuti con l’accompagnamento finale dello stesso cantante americano diventato disco dopo disco nume tutelare di tutti i barboni e di tutti gli ubriaconi della Terra.