Come il soffitto di una chiesa bombardata

Immagino l’anonimo lettore che nella primavera del 2019 leggerà del sottoscritto che nell’estate del ’96 ascoltava Emidio Clementi declamare di come nell’inverno dell’85 ascoltasse un disco di Jim Carroll uscito nell’80, magari in autunno. E tutti e quattro, Carroll, Clementi, lo scrivente e l’anonimo lettore accomunati dall’essersi sentiti, prima o poi, come il soffitto della chiesa bombardata di Wicked Gravity.
Gran personaggio, Jim Carroll, ragazzino cattolico di origine irlandese dal precoce talento letterario e grande scommessa del basket, presto persa per una rapida discesa negli inferi delle droghe, a un certo punto reinventatosi rocker. L’esordio discografico della Jim Carroll Band è del 1980 con Catholic Boy. Jim ha già superato i trent’anni, splendidi i testi e musica nel segno di un trascinante punk-rock sulle orme dell’amica Patti Smith (inevitabile direi, vista la partecipazione al disco di Allan Lanier, compagno della Smith e musicista dei Blue Oyster Cult).

Il pomo della discordia

“Tanto io non ho speranza / io ho fede”
Un disco che  è unanimemente considerato come l’anello debole o addirittura debolissimo della discografia dei Massimo Volume. Nonché ultimo disco ufficiale prima dello scioglimento e il silenzio durato fino al 2008. A essere maligni si potrebbe scaricare la colpa su Manuel Agnelli, cantante degli Afterhours e all’epoca molto vicino al gruppo di Emidio Clementi: i due frontman, divenuti  amici,registreranno alcuni reading come Gli Agnelli Clementi e faranno anche un viaggio insieme in India. L’album del 2002 degli Afterhours, Quello che non c’è, ne sarà fortemente influenzato: Bye Bye Bombay, Varanasi baby e Ritorno a casa, con un recitato alla Massimo Volume, lo testimoniano in maniera evidente.
Club Privé, pubblicato nel ’99 e prodotto proprio da Agnelli, arriva dopo una formidabile terna di dischi (Stanze, Lungo i bordi, Da qui). La band cerca vie nuove, in un paio di brani Mimì prova a cantare, ma gli esiti sono altalenanti. Rimangono però perle accecanti: Pondicherry, Privé (impreziositi, questi due brani,  dalla voce di Cristina Donà), Seychelles ’81, Dopo che, Altri nomi.

Il trifide tra Masini e Merola

Il rivenditore di dischi mi guardò con grande perplessità quando gli chiesi il prezzo di quel vinile, trovato, bizzarrie dell’ordine alfabetico, dopo Marco Masini e prima di Mario Merola. Sulla copertina c’era la foto di un uomo in una vasca da bagno e l’LP non era prezzato. Il tipo mi chiese una cifra ridicola con l’aria sollevata di chi riesce a liberarsi finalmente di qualcosa di sgradevole.

Immagine correlata

Il disco era Stanze, l’esordio dei Massimo Volume, uscito nel 1993 prima del fondamentale Lungo i bordi. Ma in questo disco c’è già tutto, le storie recitate di Emidio Clementi, la chitarra di Egle Sommacal, la batteria di Vittoria Burattini, l’amore per la letteratua, con la citazione di Bukowski (L’amore è un cane che viene dall’inferno), il cinema (dal John Ford di In nome di Dio, alla fantascienza de Il giorno dei trifidi fino al Tarzan di Weissmuller ), l’omaggio a Faust’O Rossi (Cinque strade).

La giostra dei folli

Gruppo seminale della scena nostrana che vale la pena riscoprire, i milanesi Carnival of fools di Mauro Ermanno Giovanardi, affondavano le radici nel terreno di quel blues malato di chiara derivazione caveana. Dall’albero dei Carnival of fools dirameranno i più fortunati La Crus e i meno fortunati Santa Sangre (oltre a fornire elementi a Massimo Volume e Afterhours).

La band si sciolse nel 1993, all’indomani del loro ultimo LP Towards the lighted town. La loro storia era cominciata nel 1988 e la loro discografia comprende un EP, Blues off get my shoulders (1989) e un altro album Religious folk (1992). Nel mezzo una strepitosa rilettura di Love will tear us apart dei Joy Division apparsa su una compilation di tributo edita dalla etichetta milanese Vox Pop.

Una corona di spine poggiata sul palco tra la chitarra e le spie

Una corona di spine poggiata sul palco tra la chitarra e le spie.

Così Emidio Clementi dei Massimo Volume ci ricordava di ricordare il compianto cantautore americano Vic Chesnutt, morto a soli 45 anni dopo una vita segnata da un terribile incidente d’auto che l’aveva costretto su una sedia a rotelle dall’età di 19. L’incidente era stato provocato dalla dipendenza all’alcool da cui riuscirà col tempo faticosamente a liberarsi. Sintomatico in tal senso il titolo del suo terzo disco Drunk, registrato in un perenne stato di ubriachezza. Non riuscirà invece Chesnutt a liberarsi da quei demoni che lo porteranno a tentare più volte il suicidio, sempre sventato, fino all’ultimo, fatale.

Scoperto ad Athens dall’illustre concittadino Michael Stipe, cantante dei R.E.M. che produrrà i suoi primi dischi e divenuto beniamino di tanti musicisti, dagli Smashing Pumpkins a Madonna, per i suoi testi poetici e spesso dolentemente autobiografici, Vic Chesnutt si inoltrerà anche in territori altri come quando nel 2007 registrerà l’album North Star Deserter  con i canadesi Thee Silver Mt. Zion Memorial Orchestra e il chitarrista dei Fugazi Guy Picciotto che aggiungeranno un’eroica drammaticità alle sue canzoni.