Il litigio con Ligeti

“Meraviglioso è il modo in cui la mia musica è utilizzata nel film, lo è meno che nessuno mi abbia mai consultato e che non sia stato pagato. Ammiro l’arte di Kubrick ma non il suo egoismo e il suo disprezzo per la gente.”

Il capolavoro di Stanley Kubrick, 2001 Odissea nello spazio, compie mezzo secolo. Inimmaginabile pensare alle sequenze del film senza l’azzeccatissima colonna sonora dal motivo ricorrente di Also sprach Zarathustra di  Richard Strauss ai temi spaziali di Gyorgy Ligeti, AtmospheresLux Aeterna,
Adventures, Kyrie. Ma proprio l’uso spregiudicato delle sue musiche fece risentire il compositore ungherese che portò il regista in tribunale in particolare per avere pesantemente rielaborato Adventures.

Nonostante questo inizio burrascoso Kubrick continuò ad usare anche in seguito le musiche di Ligeti per ShiningEyes Wide Shut.

Oggi forse sì

L’aggettivo eclettico sta addirittura stretto a un musicista come Czeslaw Niemen: polacco, classe 1939, ha spaziato dal pop alla musica psichedelica, dal jazz-rock alla musica elettronica. Nel 1970 partecipò addirittura al Cantagiro, il popolare festival itinerante nostrano con Oggi forse no. Ovviamente al pop senza nerbo preferisco i due ottimi dischi sperimentali registrati nel 1973 insieme ai musicisti del gruppo SBB e intitolati semplicemente Volume 1 e Volume 2 (riuniti poi nell’antologico Marionetki). Ma non sono gli unici titoli della discografia del nostro a meritare un ascolto attento.

Tacchi a molla

“Jack dai tacchi a molla” è un personaggio bizzarro e diabolico della Londra vittoriana. Capace di saltare un muretto senza prendere la rincorsa. Spring Heel Jack è un progetto musicale capace di saltare i rigidi steccati dei generi.
Nati come duo di drum n’ bass hanno via via incorporato elementi jazzistici reclutando il meglio dell’avanguardia degli anni ’70 come l’olandese Han Bennink o collaboratori dei Soft Machine come Evan Parker e Paul Rutherford senza dimenticare l’apporto di J Spaceman, al secolo Jason Pierce, chitarrista di Spacemen 3 e Spiritualized. Merito degli Spring Heel Jack la sapienza nel riuscire ad amalgamare il tutto con un’elettronica calda capace di non rendere mai ostico l’impasto sonoro che, ancorché complesso, risulta sempre piacevole e interessante.

Il collezionista di suoni

Henry Cowell è stato un grande musicista americano: tra il 1912 ed il 1930 introdusse tecniche esecutive che saranno alla base del pianismo d’avanguardia: clusters di note, aggregati sonori eseguiti con l’avambraccio, con il pugno o con la mano piatta, manipolazione diretta delle corde del pianoforte. Non gli furono neppure estranei i primi vagiti dell’elettronica: nel ’30 commissionò a Leon Theremin, l’inventore dell’omonimo strumento, la costruzione di un poliritmofono, una particolare tastiera capace di eseguire sedici differenti ritmiche contemporaneamente.

Anima inquieta, Cowell nel 1931 è a Berlino a studiare musica indiana e balinese. Comincia a incorporare nelle sue composizioni elementi sempre più eterogenei provenienti da Asia e Africa: un’esplorazione che continuerà senza sosta per tutta la sua vita anche negli anni durissimi del carcere: nel ’36 con l’accusa di essere bisessuale fu condannato a dieci anni di reclusione per reati contro la morale.

Il tempo delle mele

Gli uomini primitivi cominciarono a fare musica utilizzando conchiglie, pelli, legnetti e quant’altro gli offriva la natura circostante, costruirono i loro primi rudimentali strumenti. In maniera non troppo dissimile negli anni sessanta si cominciò a fare musica utilizzando i nuovi prodotti della neonata e imberbe elettronica. E i musicisti oltre che esecutori tornarono ad essere costruttori dei loro strumenti. Uno di questi fu, nel campo dell’avanguardia, l’americano Morton Subotnick. Alla sua “Silver apples of the moon” guardarono Simeon Coxe e Danny Taylor quando cercarono di applicare al rock la lezione appena appresa. Due dischi guarda caso sotto la sigla ‘Silver Apples’ che hanno lo stesso fascino antiquato e naif dei primi computer, quando per realizzarne uno potevano bastare due ragazzi occhialuti in un garage.

Lo sterco del diavolo

Il simbolo del dollaro si trasforma in un infernale quadrupede cornuto. Moolah è termine slang che sta per denaro. Due oscuri musicisti newyorkesi nel 74 registrano a nome Moolah questo unico e disturbante LP Woe Ye Demons Possessed, degno di essere messo a fianco ai coevi dischi di krautrock. Concretismi ed elettronica assortita in questo album che si guadagnerà una menzione nella famigerata Nurse With Wound list. Da ascoltare con attenzione.

 

 

Eccoci all’acqua

La musica ambient o emoziona oppure è una noia mortale. Watermusic, del compositore elettronico texano William Basinski, riesce a emozionarmi sempre. E’ un lungo flusso sonoro di oltre un’ora, un mare calmo in superficie ma agitato da strani gradienti di temperatura sotto. Un mare senza pesci, senza fondale, un mare notturno dove filtrano solo debolissime luci: è così che me lo immagino.

Nato nel 1958 ma arrivato tardi alla notorietà grazie a Carsten Nicolai, al secolo Alva Noto, che lo ha scoperto sul finire degli anni novanta a New York,  Basinski, con alle spalle un passato da sassofonista jazz ha basato la sua arte di loop, droni e suoni sbriciolati di vecchi nastri magnetici come avverrà nei suoi più famosi Disintegration Loops.

Butterfly effect (rumore rosa #3)

Con effetto farfalla si indica quel processo per il quale piccole variazioni delle condizioni iniziali portano dopo un certo tempo le stesse equazioni differenziali a soluzioni divergenti. Sembra figlia del butterfly effect questo maltrattamento dell’opera di Puccini da parte di Pauline Oliveros, una delle pioniere della musica elettronica scomparsa lo scorso anno.

Nata in Texas nel  1932, spesso e volentieri effigiata con la sua fisarmonica, è stata soprattutto compositrice e teorica musicale. Fondatrice negli anni sessanta del San Francisco Tape Center e poi insegnante universitaria giunse alla definizione di coscienza sonora, teoria in cui confluivano elementi tipici delle filosofie orientali mutuate dalla sua passione per il karate di cui era cintura nera. Caverne, cattedrali, cisterne abbandonate divennero i luoghi ideali dove far riverberare incontri e scontri di dense masse sonore le cui piccole variazioni sono capaci di generare quell’effetto farfalla che il meteorologo Edward Lorenz probabilmente rubò a un racconto di Ray Bradbury, il celebre scrittore di fantascienza autore di Fahrenheit 451.

Holger Czukay RIP

Scrivo questo post subito dopo aver ricevuto notizia della scomparsa di Holger Czukay. Un altro pezzo di storia della musica che se ne va in punta di piedi.

Holger Czukay nasce a Danzica nel 1938. Studia musica a Colonia sotto la guida di Karlheinz Stockhausen. Insegna a sua volta musica per mantenersi. Nel ’68, un suo allievo, Michael Karoli, di dieci anni più giovane, gli suona “I am the walrus” dei Beatles. E’ una folgorazione. E’ la scintilla che porta alla nascita degli Inner Space Production: Czukay al basso, Karoli alla chitarra, Irmin Schmidt, altro allievo di Stockhausen, alle tastiere e Jaki Liebezeit, che in precedenza suonava freejazz, alla batteria. Più tardi si aggiungerà il cantante Malcolm Mooney che ideerà il nuovo nome del gruppo: CAN. Esaurita l’avventura la fenomenale band tedesca continuerà a produrre dischi in proprio e in compagnia di importanti musicisti come Jah Wobble e David Sylvian.

Ma già prima dell’avventura dei CAN, Czukay aveva firmato un piccolo capolavoro frutto di un’incursione notturna nello studio di Stockhausen. Czukay e l’amico Rolf Dammers una sera aspettano che Stockhausen, che in quel periodo compone Hymnen e Telemusik, esca dall’università di Colonia e prendono possesso della strumentazione tecnica del maestro, l’unica in grado di alterare i tanti nastri registrati dalle radio a onde medie da Czukay: canti vietnamiti, musiche medioevali francesi, musica aborigena australiana, koto giapponese, cori tibetani. Tutto viene incanalato in un unico flusso elettronico, allo stesso tempo futuristico e ancestrale, da cui saranno tratti i due lunghi brani di Boatwoman song e Canaxis.

La debolezza è potenza

“La debolezza è potenza, e la forza è niente. Quando l’uomo nasce è debole e duttile, quando muore è forte e rigido, così come l’albero: mentre cresce è tenero e flessibile, e quando è duro e secco, muore. Rigidità e forza sono compagne della morte, debolezza e flessibilità esprimono la freschezza dell’esistenza.”

Per fare un’ottima fantascienza non c’è bisogno né di robot, né di astronavi, né di macchine del tempo. Stalker, prima di diventare triste sinonimo di molestatore è uno dei capolavori di Andrej Tarkovskij. E lo stalker in questione è la guida che porta nell’inviolabile Zona due uomini, lo scritttore in crisi di ispirazione e il professore che aspira a vincere il Nobel. Entrambi sono alla ricerca della fantomatica Stanza, luogo dove possono avverarsi i desideri più intimi e segreti . E qui mi fermo onde evitare indesiderati spoiler.

Aggiungo che la colonna sonora del film, realizzato nel 1979, è del compositore sovietico Eduard Artemyev che negli anni ’60 cominciò a lavorare con i primi sintetizzatori musicando anche altre due pellicole di Tarkovskij, Solaris e Zerkalo. Ed è proprio la musica elettronica del compositore a giocare un ruolo centrale nella creazione dell’atmosfera aliena della Zona.