Zucche soniche

Zucche piene per la notte d’Ognissanti. La gioventù sonica nel pieno della giovinezza. E’ il 1985, l’anno di Bad Moon Rising, zucca esplosa in copertina, album maledettamente ostico culminante nel finale assassino di  Death Valley ’69 dove al quartetto newyorkese si aggiunge Lydia Lunch.  Ed è l’anno in cui viene registrato il singolo Flower/Halloween.

La B-side, Halloween, una canzone bisbigliata da una morbosa e sensuale Kim Gordon che racconta una storia perversa di abbandono carnale, avrà più fortuna e sarà anche riproposto dai Mudhoney nello split in cui i Sonic Youth reinterpreteranno la celebre Touch me I’m Sick del gruppo di Seattle.

Eccoci all’acqua

La musica ambient o emoziona oppure è una noia mortale. Watermusic, del compositore elettronico texano William Basinski, riesce a emozionarmi sempre. E’ un lungo flusso sonoro di oltre un’ora, un mare calmo in superficie ma agitato da strani gradienti di temperatura sotto. Un mare senza pesci, senza fondale, un mare notturno dove filtrano solo debolissime luci: è così che me lo immagino.

Nato nel 1958 ma arrivato tardi alla notorietà grazie a Carsten Nicolai, al secolo Alva Noto, che lo ha scoperto sul finire degli anni novanta a New York,  Basinski, con alle spalle un passato da sassofonista jazz ha basato la sua arte di loop, droni e suoni sbriciolati di vecchi nastri magnetici come avverrà nei suoi più famosi Disintegration Loops.

C’era una volta l’indie

Bisogna arrendersi all’evidenza, le parole cambiano di significato e quel che oggi chiamiamo in un modo non corrisponde al significato di un tempo. Esemplare il modo in cui si è arrivati a designare con il termine hipsters, barbosi giovincelli barbuti neppure lontani parenti dei ‘bianchi negri’ che negli anni del dopoguerra ascoltavano Charlie Parker (ammesso che sappiano chi sia stato Charlie Parker).

E allo stesso modo l’aggettivo indie è passato dall’etichettare tante gloriose band, che con alterne fortune hanno attraversato gli anni ottanta e novanta, a scialbe risciacquature pop nostrane.

Date retta, non buttate via il vostro tempo e ascoltatevi gli ottimi The Van Pelt (che solo per il riferimento ai Peanuts di Charles M. Schulz meriterebbero l’encomio): quartetto newyorkese dalla vita brevissima, due soli album pubblicati a metà anni novanta Stealing from Our Favorite Thieves e Sultans of Sentiment di canzoni spruzzate di rumorismo.