Il soccombente

“Per due mesi e mezzo piovve ininterrottamente e noi, chiusi a chiave nelle nostre stanze a Leopoldskron, lavoravamo giorno e notte, l’insonnia (di Glenn Gould!) era ormai diventata per noi uno stato irrevocabile, di notte elaboravamo per conto nostro ciò che Hororowitz ci aveva insegnato durante il giorno. Non mangiavamo quasi nulla e per tutto quel periodo non patimmo dei dolori di schiena che ci avevano tormentato di continuo fintanto che avevamo studiato coi nostri vecchi professori; sotto Horowitz quei dolori di schiena non li sentimmo affatto perché studiavamo con una tale intensità che in ogni caso non avremmo potuto sentirli. Al termine del nostro corso con Horowitz, fu chiaro che Glenn già suonava il pianoforte meglio di Horowitz stesso, ad un tratto avevo avuto l’impressione che Glenn suonasse meglio di Horowitz e, da quel momento in poi, Glenn fu per me il più importante virtuoso del pianoforte di tutto il mondo, per quanti pianisti io abbia sentito da quel momento in poi, nessuno suonava come Glenn, lo stesso Rubinstein, che ho sempre amato, non suonava meglio di lui. Wertheimer ed io eravamo pari quanto a bravura, anche Wertheimer ha detto molte volte che Glenn era il migliore, lo ha detto perfino quando ancora non osavamo dichiarare che era il migliore del secolo. Il ritorno di Glenn in Canada significò veramente per noi la perdita del nostro amico canadese, non pensavamo di rivederlo mai più, era invasato dalla sua arte in una tale maniera da farci supporre che non potesse tirare avanti in quello stato ancora per molto e che in breve tempo sarebbe morto”

Ho scoperto ‘Il soccombente’ di Thomas Bernhard, a teatro pochi anni fa, in un monologo del bravissimo Roberto Herlitzka. Nel libro dello scrittore austriaco vi è la storia dell’incontro fatale tra due virtuosi del pianoforte, l’io narrante e Wertheimer e Glenn Gould:  di fronte al genio canadese i due abbandoneranno presto la carriera pianistica e uno dei protagonisti, Wertheimer, ‘il soccombente’, arriverà al suicidio.  Romanzo drammatico in cui l’autore non risparmia critiche sempre più feroci che come cerchi nell’acqua partono dall’ambiente musicale e investono Salisburgo, l’Austria, l’umanità stessa.

“Il Mozarteum è stato una cattiva scuola, pensai mentre entravo nella locanda, anche se sotto un certo aspetto per noi è stata la migliore perché ci ha aperto gli occhi. Tutti gli istituti di insegnamento superiore sono cattive scuole, e quello che noi frequentiamo è sempre il peggiore di tutti se non riesce ad aprirci gli occhi. Che razza di miserabili maestri abbiamo dovuto sopportare, han davvero violato le nostre menti. Tutti quanti rapinatori dell’arte, annientatori dell’arte, uccisori dell’ingegno, assassini di studenti. Horowitz era un’eccezione, come Markevič e Végh, pensai. Ma non basta un solo Horowitz, pensai, a far sì che un’accademia diventi una scuola di gran classe. In quell’edificio, celebre allora e ancora oggi come nessun altro edificio al mondo, dominavano gli strimpellatori; se dico che vengo dal Mozarteum, gli occhi della gente si riempiono di lacrime.”