I piccoli diavoli di Minneapolis

Le riprese di Down by Law (per noi del consunto stivale Daunbailò) avvicinarono quei tre impossibili personaggi che rispondono ai nomi, rigorosamente in ordine alfabetico di Roberto Benigni, John Lurie e Tom Waits. L’anedottica attorno alla pellicola di Jarmusch è  sconfinata e con risvolti, giocoforza visti i protagonisti, grotteschi e le amicizie maturate sincere. Tanto che quando due anni dopo Benigni realizzerà  Il piccolo diavolo non solo  riserverà una parte nel cast a John ma affiderà al fratello Evan Lurie, pianista e suo compagno nei Lounge Lizards. E per completare il cerchio ci sarà alla chitarra Marc Ribot, collaboratore storico di Tom Waits. Una colonna sonora da riscoprire.

Finti ma di classe

Guidati dall’allampanato John Lurie, che sarà protagonista con Roberto Benigni e Tom Waits del film di Jim Jarmusch Daunbailò, i newyorkesi Lounge Lizards furono inizialmente tacciati di suonare fake-jazz visto la loro provenienza da ambienti punk e no wave. Ma è proprio l’approccio poco ortodosso al jazz a dare quel quid in più al loro esordio, eponimo, del 1981. Con John Lurie in quella prima prova discografica c’erano il fratello Evan al piano, il bassista Steve Piccolo, il batterista Anton Fier e il chitarrista di origini brasiliane Arto Lindsay, già nei DNA.

Il sangue di Cristo

Se diffidate delle religioni ma credete nella religiosità ecco un disco di musica sacra: “Jesus’ blood never failed me yet” di Gavin Bryars. In realtà il protagonista di questa storia non è Gavin Bryars e il disco non è stato registrato tra le austere navate di una cattedrale: il musicista inglese, girovagando per le vie di Londra con un registratore per la realizzazione di un documentario captò tra voci e schiamazzi assortiti anche la voce di un ignoto barbone che canticchiava questa canzone nel tunnel della metropolitana.  Pochi secondi dalla forza misteriosa che si prestavano ad essere messi in loop.
When I played it at home, I found that his singing was in tune with my piano, and I improvised a simple accompaniment. I noticed, too, that the first section of the song – 13 bars in length – formed an effective loop which repeated in a slightly unpredictable way. I took the tape loop to Leicester, where I was working in the Fine Art Department, and copied the loop onto a continuous reel of tape, thinking about perhaps adding an orchestrated accompaniment to this. The door of the recording room opened on to one of the large painting studios and I left the tape copying, with the door open, while I went to have a cup of coffee. When I came back I found the normally lively room unnaturally subdued. People were moving about much more slowly than usual and a few were sitting alone, quietly weeping”.
L’idea di Bryars fu allora quella di reiterare quell’unica frase accompagnandola con un crescendo di strumenti. Nacque così questo pezzo eseguito la prima volta nel 1972 e messo su disco per l’etichetta di Brian Eno nel 1975.
Poi nel 1993 Gavin Bryars ricevette una telefonata di Tom Waits che cercava quel vinile ormai introvabile. Quella strana richiesta fu la scintilla che portò alla registrazione ex novo dell’album stavolta esteso a 74 minuti con l’accompagnamento finale dello stesso cantante americano diventato disco dopo disco nume tutelare di tutti i barboni e di tutti gli ubriaconi della Terra.