Senza Cuore

“Uno solo poteva ridere mentre Derossi diceva dei funerali del Re, e Franti rise. Io detesto costui. È malvagio. Quando viene un padre nella scuola a fare una partaccia al figliuolo, egli ne gode; quando uno piange, egli ride. Trema davanti a Garrone, e picchia il muratorino perché è piccolo; tormenta Crossi perché ha il braccio morto; schernisce Precossi, che tutti rispettano; burla perfino Robetti, quello della seconda, che cammina con le stampelle per aver salvato un bambino. Provoca tutti i più deboli di lui, e quando fa a pugni, s’inferocisce e tira a far male. Ci ha qualcosa che mette ribrezzo su quella fronte bassa, in quegli occhi torbidi, che tien quasi nascosti sotto la visiera del suo berrettino di tela cerata. Non teme nulla, ride in faccia al maestro, ruba quando può, nega con una faccia invetriata, è sempre in lite con qualcheduno, si porta a scuola degli spilloni per punzecchiare i vicini, si strappa i bottoni dalla giacchetta, e ne strappa agli altri, e li gioca, e ha cartella, quaderni, libro, tutto sgualcito, stracciato, sporco, la riga dentellata, la penna mangiata, le unghie rose, i vestiti pieni di frittelle e di strappi che si fa nelle risse. Dicono che sua madre è malata dagli affanni ch’egli le dà, e che suo padre lo cacciò di casa tre volte; sua madre viene ogni tanto a chiedere informazioni e se ne va sempre piangendo. Egli odia la scuola, odia i compagni odia il maestro”.
Un tempo la lettura del libro Cuore di De Amicis rientrava tra le pratiche edificanti che ogni studente era tenuto ad adempire. Nelle intenzioni un’iniezione corroborante di virtù civili. Nella pratica lo leggevi solo per vedere cosa avrebbe combinato il cattivo Franti.

Nel 1982 si formò a Torino un gruppo che si battezzò, proprio in omaggio al personaggio di De Amicis, Franti. Gruppo fieramente indipendente autore di sonorità post-punk e free-jazz nobilitate dalla splendida voce di Lalli.

L’oro blu

“Sputi” è un estemporaneo ma perfettamente riuscito episodio musicale di Marco Paolini e del suo “teatro civile”.  Accompagnato dai Mercanti di Liquore il disco era nato attorno a un nucleo di tre pezzi, ‘Due parti di idrogeno per una d’ossigeno’, ‘Regola acquea’, ‘Mare Adriatico’, dedicati alla difesa dell’acqua, l’oro blu costantemente minacciato da chi vorrebbe arrogarsene la proprietà. A questa  manciata di brani finirono per sommarsi pezzi antimilitaristi originali o estrapolati da testi di Erri De Luca, Gianni Rodari, Mario Rigoni  Stern. Ed altri tratti dai Canti Orfici di Dino Campana e dalle opere di Biagio Marin, Giacomo Noventa, Ernesto Calzavara.

Lotta con gli angeli

“With unforced humanity and poetry Chimenti wrestles with his angels and in the process acquires a unique voice with which to comunicate what is gleaned”. (David Sylvian)

Artista di grande sensibilità Andrea Chimenti è passato dalla new wave dei Moda negli anni ottanta a svariati progetti e collaborazioni dal singolo Ti ho aspettato (I Have Waited for You) realizzato con David Sylvian  alle esperienze con la compagnia francese di danza Silenda a quella teatrale con Il deserto dei Tartari di Buzzati fino alla recente riproposizione del repertorio di David Bowie.

Vale la pena riascoltarsi allora Qohelet, uscito nel 1997 per i Taccuini del Consorzio Produttori Indipendenti, l’ambiziosa collana di musica aliena dei C.S.I. di Gianni Maroccolo. In questo disco Chimenti in compagnia dell’attore Fernando Maraghini reinterpreta brani tratti dall’omonimo libro biblico, da Giuseppe Ungaretti e Fernando Pessoa.

Rivolo sonoro

In danese, svedese e norvegese Å è l’ultima lettera dell’alfabeto. Come parola in sé significa piccolo corso d’acqua. Ed è un  rivolo sonoro quello del terzetto veronese composto da Stefano Roveda (violino, piano, kalimba, sinth, theremin, percussioni, chitarra, cetra, caos pad, contrabasso, voce), Andrea Faccioli (chitarra, cetra, kalimba, piano, percussioni, voce) e Paolo Marocchio (batteria, percussioni, kalimba, cello, voce, piano, flauto, effetti) che nel 2006 incidono un disco strumentale arrangiato dal musicista di origine basche Xabier Iriondo (Afterhours, A Short Apnea, Six Minute War Madness e tantissimi altri progetti) per la milanese Die Schachtel, etichetta specializzata nel recupero dei musicisti d’avanguardia.

Un lungo flusso sonoro che rapisce e trasporta in mille luoghi senza mai fermarsi da nessuna parte. I titoli non facilitano il compito: sono lo spezzettamento di un brano estrapolato da Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte di Mark Haddon.

L’avventura degli  Å pare cominciare e finire con questo disco, ed è un vero peccato.

Rifiuti organici

“Per consolarci frughiamo tra i nostri escrementi, fisici o letterari. La merda è una certezza. Bene o male, siamo noi a farla.” (Ennio Flaiano)

A metà anni settanta era chiaro che i tessuti musicali, incancreniti andavano verso il disfacimento. Nel terreno di coltura patrio cellule impazzite ripartivano dai bisogni elementari: merda, sangue, sperma. La rivolta del punk passava più autenticamente da musicisti irregolari come Mauro Pelosi piuttosto che dai più celebrati, e per certi versi costruiti a tavolino, Sex Pistols.

Musica per l’Europa che non c’è più

Non riesco a leggere il libro Galizia. Viaggio nel cuore della Mitteleuropa di Martin Pollack senza la compagnia della musica di Zev Feldman e Andy Statman. Il libro segue le tracce di quella propaggine d’Europa ai bordi dell’impero asburgico travolta dagli eventi tragici del novecento e ne riporta  a galla le storie così come nel ’79 Zev Feldman, studioso di musica ottomana e Andy Statman, clarinettista newyorkese ripescano la tradizionale musica klezmer. Jewish Klezmer Music è il loro disco di esordio e si apre proprio con una Galitsianer Tantsel.

Qui il video di una esibizione del duo nel novembre del 1978, un concerto di tributo al maestro di Statman, Dave Tarras.

Butterfly effect (rumore rosa #3)

Con effetto farfalla si indica quel processo per il quale piccole variazioni delle condizioni iniziali portano dopo un certo tempo le stesse equazioni differenziali a soluzioni divergenti. Sembra figlia del butterfly effect questo maltrattamento dell’opera di Puccini da parte di Pauline Oliveros, una delle pioniere della musica elettronica scomparsa lo scorso anno.

Nata in Texas nel  1932, spesso e volentieri effigiata con la sua fisarmonica, è stata soprattutto compositrice e teorica musicale. Fondatrice negli anni sessanta del San Francisco Tape Center e poi insegnante universitaria giunse alla definizione di coscienza sonora, teoria in cui confluivano elementi tipici delle filosofie orientali mutuate dalla sua passione per il karate di cui era cintura nera. Caverne, cattedrali, cisterne abbandonate divennero i luoghi ideali dove far riverberare incontri e scontri di dense masse sonore le cui piccole variazioni sono capaci di generare quell’effetto farfalla che il meteorologo Edward Lorenz probabilmente rubò a un racconto di Ray Bradbury, il celebre scrittore di fantascienza autore di Fahrenheit 451.

La Morte

Era passato sottotraccia e sfuggito ai miei radar questo disco uscito non casualmente il 2 novembre del 2012 in edizione limitatissima, solo 300 copie in vinile. La Morte è una piccola antologia di brani letti da Giovanni Succi (Madrigali Magri, Bachi da Pietra) su un tappeto elettronico ordito da Riccardo Gamondi (Uochi Toki). Nonostante l’eterogeneità degli autori scelti, Jacopone da Todi, Manzoni, Tolstoj, Sartre, Calvino, Manganelli, David Foster Wallace, il disco si mantiene intenso e coeso per tutti i quaranta minuti scarsi di durata che valgono un attento ascolto.

 

Mille gru di carta (Made in Japan #22)

1954. Sadako Sasaki è una bambina che sogna di correre. In seguito a un attacco di vertigini le viene diagnosticata la leucemia. Leucemia provocata dalla pioggia nera, le radiazioni liberate dall’esplosione nucleare sulla città di Hiroshima. Sono passati nove anni dal terribile evento ma gli effetti sono ancora devastanti.

Sadako passa quattordici mesi in ospedale. Costruisce gru di carta. Una antica tradizione dice che un desiderio sarà esaudito a chi riuscirà a costruire mille gru di carta. Sadako si aggrappa a quelle gru di carta per quei quattordici mesi di sofferenza e disperata speranza.

I Mono, gruppo post-rock giapponese, mezzo secolo dopo, nel 2004, chiuderanno l’album Walking cloud and deep red sky, flag fluttered and the sun shined con una delicata dedica alla storia di Sadako, A thousand paper cranes, episodio più malinconico del disco.

La vicenda di Sadako, cui è dedicata una statua nel parco della Pace di Hiroshima, sarà anche raccontata dallo scrittore Karl Bruckner nel libro Il gran sole di Hiroshima.

Morirete come mosche

“this whole country is full of lies / You’re all gonna die and die like flies”

Mississippi Goddam fu presentata per la prima volta al pubblico nel marzo del 1964 alla Carnegie Hall di New York. L’anno prima Nina Simone era stata la prima artista di colore ad esibirvisi. Non come pianista classica, sogno che aveva coltivato da ragazzina, ma come cantante oramai affermata e che aveva incamerato nel suo repertorio le istanze delle lotte per i diritti civili aggiornando tanto il teatro mitteleuropeo di Bertolt Brecht e Kurt Weill quanto la canzone popolare israeliana.

Di fronte ai fatti tragici del ’63, con la fucilata nella schiena all’attivista Medgar Evers  e la bomba nella chiesa battista dove perirono quattro ragazzine, Nina Simone scrive l’invettiva di Mississippi Goddam.

A differenza delle dolenti Alabama di John Coltrane e Only A Pawn in Their Game di Bob Dylan, entrambe dedicate agli eventi di quell’anno, le parole di Nina Simone sono accompagnate da una musica allegra e dinamica che rende il testo ancora più suggestivo e diretto.

Cito le parole dell’attivista Dick Gregory dalla bella biografia di Alan Light, What’s happened, Miss Simone? uscito in Italia per Il Saggiatore:

“La franchezza appartiene alla donna. Nonostante tutta la sofferenza vissuta dai neri, nessun uomo nero si azzarderebbe a cantare Mississippi Goddam. Nessun uomo nero direbbe mai quello che dice Billie Holiday sul linciaggio. Non sono state le donne a linciare, sono stati gli uomini, ma sono state le donne a parlarne, e nessuno ha detto loro di farlo. Nessun manager ha detto loro di parlare a quel modo, è qualcosa che hanno dentro.”

E il prezzo da pagare per tanta franchezza sarà salato e renderà ancora più complicata la vita già tormentata sin dall’infanzia della cantante che vedrà ulteriormente incrinato il suo rapporto con il violento marito e manager.