La lava e l’elefante

C’è stato un tempo felice in cui MTV Italia non esisteva. C’era invece una più ruspante Videomusic che rimpiango. Non solo per il concerto acustico dei CSI, ma perché in generale riusciva a far passare anche – e scrivo anche perché d’altronde non siamo nel migliore dei mondi possibili – musica decente. Addirittura in un programma come il Roxy Bar di Red Ronnie si riusciva a trovare qualcosa da salvare.
Ricordo che c’erano questi due videoclip simili nella musica e nella regia: uno era Bull in the heather dei Sonic Youth, l’altro era di un gruppo chiamato Uzeda.
Ci volle del tempo per scoprire che questi ultimi erano catanesi, avevano partecipato alle John Peel sessions della BBC (che è ben altro dal Roxy Bar di Red Ronnie), erano riusciti a farsi registrare il disco da Steve Albini e poi a pubblicare con la Touch and Go, una delle più importanti etichette indie degli States. Ma nonostante tutto questo e un tour, quello del 2018, celebrativo del trentennale della band, rimangono dei quasi carneadi .

Cinque dischi in vent’anni, tanta rabbia e una voce, quella di Giovanna Cacciola, che pare sempre sull’orlo del baratro, pronta a cadere in quel cratere che non smette mai di dispensare lava. L’urlo di una terra, quella etnea, continuamente stuprata.

 

Nell’acquario

L’idea dell’etichetta olandese Konkurrent è stata molto semplice ma geniale: chiudere per due giorni in uno studio di registrazione una band o, ancora meglio, due a suonare e vedere cosa ne esce fuori. Così tra il 1996 e il 2009 sono stati realizzati quindici miniLP, intitolati In the Fishtank, in cui gruppi noti e meno noti del panorama mondiale si sono divertiti a mischiare le carte in tavola: dai Sonic Youth a Christian Fennesz, dai Tortoise ai Motorpsycho, dai June of ’44 ai Dirty Three et cetera et cetera.

Qui uno dei miei preferiti, un duetto tutto norvegese tra Motorpsycho e Jaga Jazzist Horns con una pregevole cover degli Art Ensemble of Chicago (Theme of Yoyo dalla colonna sonora del film Les stances á Sophie) e la lunga conclusiva Tristano.

Atti osceni

Nel 1988 Steve Albini, messa da parte l’esperienza dei Big Black arruola la sezione ritmica dei seminali Scratch Acid,  il batterista Rey Washam e il bassista David Sims e dà vita ai Rapeman: un EP intitolato Budd e un LP, Two Nuns and a Pack Mule, entrambi licenziati dalla Touch & Go, poi lo sciogliete le righe prima di varare gli altrettanto formidabili Shellac.

Spietato negli effetti chitarristici, osceno nei testi, esemplare l’attacco ai Sonic Youth, colpevoli agli occhi del nostro di essersi venduti alla major discografiche con Kim Gordon’s painties, Albini ridisegna i confini del noise e dell’hardcore. C’è già tutto: i Nirvana (che vedranno proprio Albini al mixer per l’album In Utero), i Jesus Lizard, gli Slint verranno solo in seguito.

Ascensione agli inferi

Fare musica d’avanguardia usando gli strumenti del rock. Questa è stata la missione di Glenn Branca, musicista americano, cattivo allievo dei padri del minimalismo tanto da essere etichettato come fascista da John Cage!

Incurante delle critiche Branca ha esplorato a lungo le mille possibilità di estorcere suoni alle chitarre elettriche lavorando su improbabili accordature e scordature sin dall’esordio discografico sulla lunga distanza di The Ascension, nel 1981 con un sestetto composto da Ned Sublette, David Rosenbloom, Lee Ranaldo dei Sonic Youth e lo stesso Branca alle chitarre, Jeffrey Glenn al basso e Stephan Wischerth alla batteria.

Zucche soniche

Zucche piene per la notte d’Ognissanti. La gioventù sonica nel pieno della giovinezza. E’ il 1985, l’anno di Bad Moon Rising, zucca esplosa in copertina, album maledettamente ostico culminante nel finale assassino di  Death Valley ’69 dove al quartetto newyorkese si aggiunge Lydia Lunch.  Ed è l’anno in cui viene registrato il singolo Flower/Halloween.

La B-side, Halloween, una canzone bisbigliata da una morbosa e sensuale Kim Gordon che racconta una storia perversa di abbandono carnale, avrà più fortuna e sarà anche riproposto dai Mudhoney nello split in cui i Sonic Youth reinterpreteranno la celebre Touch me I’m Sick del gruppo di Seattle.

Viaggi al termine della notte (Made in Japan #2)

Un disco da ore piccole quello dei Tolerance, duo femminile nipponico con all’attivo un paio di album per l’etichetta Vanity, Anonym (1979) e Divin (1981).

Masami Yoshikawa alla chitarra e Junko Tange al piano, voce ed elettronica, disegnano sul disco d’esordio paesaggi da sogni disturbati. Il brano JUIN-Irénée pare anticipare certe cantilene pigre di Kim Gordon dei Sonic Youth, il conclusivo Voyage Au Bout De La Nuit omaggia Celine  con un suono  aspro e insistito che ben evoca il capolavoro dello scrittore francese.

La piaga emozionale

‘The Emotional Plague’ è un disco splendido,  scoperto con almeno una decade di ritardo perché snobbato anche dai presunti alternativi dei miei stivali. Fu uno degli ultimi titoli licenziati dalla gloriosa Homestead Records che negli anni ottanta aveva per le mani band come Sonic Youth e Dinosaur Jr prima di chiudere i battenti nel 1996.

Il disco contiene un’ora di musica onirica e inquieta da mandare in loop per farsi riaprire ogni volta le piaghe dell’anima e rappresenta lo zenit compositivo e insieme il canto del cigno di un gruppo cazzone a cominciare da quella bislacca denominazione sociale, i ‘Supreme Dicks’, da Amherst, Massachusets, che impiegò quasi dieci anni ad affermarsi e moltissimo meno per far perdere le tracce. Come si conviene ai sogni dopotutto.