Suoni della ricostruzione

Il mondo non dovrebbe mai finire di ringraziare John Peel per le sue celebri sessions. Una miniera di meraviglie. Come ad esempio le prime due sessions dei New Order, in una fase ancora di ricostruzione dopo l’atroce perdita di Ian Curtis, tra i tentativi di Bernard Sumner di ricalcare il cantato di Ian e omaggi come la cover del brano reggae, amato da Ian, del giamaicano Keith Hudson. Il bello di queste registrazioni sta proprio in quell’andamento ondivago che poi prenderà la strada, a me poco gradita, del synth-pop danzereccio.

Anima l’inanimato

Lisa Gerrard e Brendan Perry arrivano a Londra dalla natia Australia. Messi sotto contratto dalla 4AD registrano il primo disco, omonimo, che vedrà la luce nel febbraio del 1984. Il disco suona gotico, arcano, la voce fuori dal tempo della Gerrard, una maschera rituale della Nuova Guinea in copertina che già indica gli sviluppi world degli anni successivi.

“To understand why we chose the name, think of the transformation of inanimacy to animacy. Think of the processes concerning life from death and death into life. So many people missed the inherent symbolic intention of the work, and assumed that we must be “morbid gothic types”

Working class antihero

Gli Sleaford Mods sono un duo composto da Jason Williamson e da Andrew Fearn. Vedere i loro live è disturbante: il primo lancia invettive, urla, si dimena come una belva ferita, il secondo beve birra, balla e smanetta sul laptop. Stando cosi le cose sarebbero poco più che uno scherzo e invece funzionano alla grande. E un brano (e un video) come quello di Mork n Mindy, in trio  con Billy Nomates, funziona alla stragrande.

La new wave compatta e minimale

Difficile emergere artisticamente a Tel Aviv. Così tre ragazzi israeliani muovono verso Amsterdam e riescono a trovare asilo presso l’etichetta belga Crammed che produce, è  il 1981, il loro omonimo esordio. Il gruppo, composto dalla bassista Malka Spigel, il cantante Samy Birnbach e il chitarrista e tastierista Berry Sakharof si distingue nel calderone new wave / post-punk per il sapore mediorientale dei suoni. Ballate da fermi con i Minimal Compact.

 

 

Semplificazioni di menti semplici

In quella remota epoca ante-Shazam capitava di ascoltare canzoni senza saperne né il titolo né l’autore. Fu così per una canzone che accompagnava uno di quei filmati prodotti per riempire gli intervalli tra un programma e l’altro e che era una miscellanea di azioni di grandi cestisti della NBA e immagini di vita quotidiana dell’America dei grattacieli e quella rurale delle piccole cittadine lungo le grandi highways.

Impiegai anni per scoprire che la canzone, scelta senza minimamente curarsi del testo, che niente c’entrava né col basket né con l’America più o meno urbanizzata, era Mandela Day, un brano che gli scozzesi Simple Minds avevano dedicato nel 1989 al leader anti-apartheid sudafricano.

Oramai già in territori molto pop, il gruppo di Glasgow aveva abbandonato  le spigolosità post-punk degli esordi, verso una new wave sempre più edulcorata. E fu un vero peccato.

 

I semi cattivi di Re Inchiostro

I semi cattivi di Nick Cave cominciano a germogliare nel 1979 nella lontana Melbourne. Nomi rassicuranti come The Boys Next Door e The Birthday Party fanno da copertura a un post-punk degradato che affiora da melme blues. Partono da qui Nick Cave e il fido Mick Harvey, insieme a Rowland Howard, Tracy Pew e Phil Calvert per dare l’assalto alla vecchia Europa prima di disintegrarsi all’ombra del muro di Berlino.

La giostra dei folli

Gruppo seminale della scena nostrana che vale la pena riscoprire, i milanesi Carnival of fools di Mauro Ermanno Giovanardi, affondavano le radici nel terreno di quel blues malato di chiara derivazione caveana. Dall’albero dei Carnival of fools dirameranno i più fortunati La Crus e i meno fortunati Santa Sangre (oltre a fornire elementi a Massimo Volume e Afterhours).

La band si sciolse nel 1993, all’indomani del loro ultimo LP Towards the lighted town. La loro storia era cominciata nel 1988 e la loro discografia comprende un EP, Blues off get my shoulders (1989) e un altro album Religious folk (1992). Nel mezzo una strepitosa rilettura di Love will tear us apart dei Joy Division apparsa su una compilation di tributo edita dalla etichetta milanese Vox Pop.

Musica per camaleonti

La sfortuna dei Chameleons è stata quella di essere arrivati un attimo dopo i più illustri Joy Division, The Cure, Echo & The Bunnymen. Il loro primo disco Script of the bridge esce solo nel 1983 quando la festa del post-punk è ormai agli ultimi giri di danza.

Ed è un imperdonabile peccato che il disco passi sotto traccia: già la copertina del disco, opera del chitarrista Reg Smithies, mette in evidenza la componente onirica e romantica della loro musica e dei testi del cantante Mark Burgess.

“In his autumn before the winter comes man’s last mad surge of youth.” “What on earth are you talking about?” Queste le due frasi, rapite da un film sconosciuto, introducono l’iniziale Don’t fall, seguita da brani come Monkeyland, Second skin – che pare alludere a un’esperienza post-mortem, – A person isn’t safe anywhere these days, la preferita di Burgess con cui il gruppo aprirà generalmente i concerti, fino al verso finale “You wait until your time comes round again” che chiude View from a hill e di fatto il disco.

Il secondo album What does anything mean basically? verrà pubblicato nel 1985 e comprenderà altre ottime canzoni così come l’anno successivo Strange times, con una delle mie copertine preferite in assoluto. Ma le vendite  scarse porteranno nel 1987 il gruppo a sciogliersi.

Prometeo e il funk

Uno dei brani chiavi del Pop Group è Thief of Fire: come novello Prometeo, la band di Bristol ruba il fuoco della musica da ballo, del funk e del dub e la dona all’umanità più oppressa di cui il cantante Mark Stewart se ne fa portavoce con testi feroci e paranoici. Due album fondamentali, Y e For How Much Longer Do We Tolerate Mass Murder prima di disgregarsi in una pletora di gruppi ed esperienze musicali ancora degnissime di nota e sempre caratterizzate dalla grande libertà musicale e da un meticciato di generi, dai Rip Rig + Panic ai Pigbag, dai Glaxo Babies ai Maximum Joy fino ai Maffia del leader Mark Stewart.

Il blu, l’oro e il magico giallo

Furono disseppelliti dal dimenticatoio, prima di tornarcene repentinamente, dalla Spittle Records, i nostrani Leanan Sidhe.  Nel sottobosco fecondissimo della Firenze degli anni ottanta, dove i più affermati Litfiba e Diaframma ripetevano più o meno scolasticamente la lezione del post-punk d’oltremanica, i Leanan Sidhe seppero affondare le mani nelle acque pù profonde della psichedelia come testimoniato dai due ottimi miniLP del biennio 86-87 Ash Grove Primroses e Our Early Childhood Skyes raccolti vent’anni dopo con un paio di inediti su CD col titolo di Blue and Gold (and Magic Yellow). A queste due prime prove seguì un’esistenza nascosta che portò alla realizzazione di  due lavori estremamente sperimentali come Plansequence del ’94 e di Calendario Arboreo Perpetuo del 2000 .