Mai dire Maier

L’ospedale pediatrico di Firenze è  per tutti il Maier. E questo per lo scorno del povero commendatore Giuseppe Meyer, gentiluomo di San Pietroburgo, che donò alla città l’ospedale fondato in memoria della moglie Anna, precocemente scomparsa. Nell’atto di donazione volle far mettere nero su bianco che il suo cognome era da pronunciare con la “e”. Invano.

27 gennaio 2020, cielo grigio come il manto autostradale che si srotola in direzione casa, il sollievo di una malattia sconfitta, l’autoradio che trasmette, è  il giorno della memoria, Interlude Op.21 di Gerald Finzi, compositore inglese, padre italiano, madre tedesca, origine ebraiche, morto nel 1956, a soli 55 anni, dopo essersi visto diagnosticare un linfoma di Hodgkin. Tema a lui caro, quello dell’infanzia corrotta dal mondo adulto.

L’arcipelago sonoro

André Boucourechliev nasce a Sofia, in Bulgaria, nel 1925. Studia a Parigi, in seguito otterrà anche la cittadinanza francese e approfondisce i suoi studi a Milano con Berio e Maderna e negli Stati Uniti con Cage. Più noto come musicologo che come compositore, ha scritto libri su Schumann, Chopin, Beethoven, si è cimentato negli anni ’50 con la musica elettronica in quel laboratorio unico che è stato il Groupe de Recherche Musicale di Parigi. Notevole la serie degli Archipels, composti negli anni sessanta e settanta, e le cui partiture indagano i limiti della libertà espressiva dei musicisti: ogni esecuzione è diversa dall’altra senza però mai cadere nell’aleatorietà.

 

Pinguini e cose a caso

“I am the proprietor of the Penguin Cafe, I will tell you things at random.” 

L’etichetta Obscure Records Ltd nacque per volontà di Brian Eno nel 1975 per fare luce su musiche oscure. Durò lo spazio di un triennio e una decina di pubblicazioni. Tra queste, nel 1976, l’esordio della Penguin Café Orchestra di Simon Jeffes.

Jeffes, chitarrista, era accompagnato dal violoncello di Helen Liebmann, dal violino di Gavyn Wright e dal piano elettrico di Steven Nye. La musica della creatura di Jeffes, sospesa tra musica rinascimentale e barocca e suggestioni etniche, è qualcosa di assolutamente fuori dai generi e perciò preziosa.

Pare che l’idea del gruppo fosse balenata a Jeffes nel ’72 quando rimase vittima di un’intossicazione alimentare nel sud della Francia. Le cose potevano andare sicuramente peggio!

Labirinto Laborintus

Per il settecentesimo anniversario della nascita di Dante la radiotelevisione francese O.R.T.F.  commissiona a Luciano Berio una composizione che si rivelerà un vero labirinto di suoni e parole. Il grande musicista italiano infatti affida il libretto al poeta Edoardo Sanguineti che attingerà alla sua opera Laborintus edita nel 1956. Laborintus II è quindi un viaggio attraverso le rime del sommo poeta e molteplici intersezioni e rimandi a T.S. Eliot, Ezra Pound e allo stesso Sanguineti.

Si ricorderà di quest’opera il geniale Mike Patton che reinciderà nel 2012 Laborintus II con i musicisti belgi dello Ictus Ensemble.

L’orecchio è esposto e vulnerabile (Made in Japan #23)

A differenza dell’occhio che può essere chiuso o puntato altrove l’orecchio è esposto e vulnerabile. E’ a questa vulnerabilità che si rivolgeva il suono (e il non suono) di Satoshi Ashikawa, produttore e compositore che licenziò, prima di morire in un incidente, tre dischi per la serie Wave Notation dell’etichetta Sound Process raccolti: Music for Nine Postcards di Hiroshi Yoshimura, Still Way dello stesso Ashikawa e Eric Satie del pianista Satsuki Shibano a reinterpretare brani del musicista di Honfleur. I brani di Still Way per piano, vibrafono, arpa e flauto sono delicati acquerelli sonori sospesi in uno spazio atemporale.

Insetti

“Mentre l’albero era ancora alto e dritto, veniva già divorato da milioni di insetti ronzanti sotto le sue propaggini […] da molti vermi ed insetti coriacei gialli, marroni e neri […] milioni nel corpo di un solo albero svettante. L’albero cade e gli insetti se ne appropriano completamente”.
Il compositore ungherese Béla Bartók ha fuso mirabilmente nelle sue opere la musica popolare dell’Europa dell’est con la musica d’avanguardia. Piccolo e gracile nel fisico ma determinato a perseguire gli ideali della sua musica senza mai scendere a compromessi e sfidando le avversità con ostinazione e fierezza fossero gli ambienti musicali prima, il nazismo poi e in ultimo la leucemia che lo porterà alla morte nel 1945 dopo aver speso gli ultimi mesi di vita a comporre in una vera e propria lotta contro il tempo che gli scavava dentro come quegli insetti che nelle sue lettere erano la metafora della sua malattia.

Il litigio con Ligeti

“Meraviglioso è il modo in cui la mia musica è utilizzata nel film, lo è meno che nessuno mi abbia mai consultato e che non sia stato pagato. Ammiro l’arte di Kubrick ma non il suo egoismo e il suo disprezzo per la gente.”

Il capolavoro di Stanley Kubrick, 2001 Odissea nello spazio, compie mezzo secolo. Inimmaginabile pensare alle sequenze del film senza l’azzeccatissima colonna sonora dal motivo ricorrente di Also sprach Zarathustra di  Richard Strauss ai temi spaziali di Gyorgy Ligeti, AtmospheresLux Aeterna,
Adventures, Kyrie. Ma proprio l’uso spregiudicato delle sue musiche fece risentire il compositore ungherese che portò il regista in tribunale in particolare per avere pesantemente rielaborato Adventures.

Nonostante questo inizio burrascoso Kubrick continuò ad usare anche in seguito le musiche di Ligeti per ShiningEyes Wide Shut.

Tintinnabuli

Non sarebbe stato difficile per gli apostoli aver vissuto nell’Unione Sovietica. Lì ci sono persone meravigliose come loro

Il 1977 è l’anno del punk. Johnny Rotten canta ‘Io sono l’anticristo’.  L’Estonia invece è ancora una delle quindici repubbliche dell’URSS. Arvo Pärt, dopo sette anni di silenzio, stanco della dodecafonia e della musica atonale, ricomincia a comporre. Riparte dalla musica sacra. La scompone, la semplifica. Ricerca una continua riduzione ai minimi termini. Ne uscirà Tabula Rasa. Un’opera di una sacralità tutta umana, fatta di boschi e montagne affacciate sul mare nell’ora del tramonto.

Ho incontrato la musica di Arvo Pärt per puro caso, parecchi anni fa. Fu amore all’istante per una musica impalpabile come un soffio ma capace di travolgere l’anima. Anche di un essere musicalmente incolto come il sottoscritto. Facile entusiasmarsi per il ritornello punk. Per i due-accordi-due e le quattro parole vomitate addosso al pubblico. È musica che si ascolta con la pancia, buona per mettere in subbuglio le viscere ma ancora troppo in basso per raggiungere mente e cuore.

 Nato nel 1935 a Paide, un minuscolo paesino della piccola repubblica baltica, comincia a suonare gli strumenti che aveva in casa e che la seconda guerra mondiale aveva dimenticato di prendere: il pianoforte, l’oboe, le percussioni. Dal 1958 comincia a comporre le prime opere seguendo le prime avanguardie del novecento: serialità, atonalità, dodecafonia. Comincia ad avere molti attestati di stima di qua e di là della cortina di ferro. Poi il lungo silenzio che lo porterà alla creazione dei tintinnabuli.

 “I tintinnabuli sono una zona in cui a volte vago quando sto cercando delle risposte -sulla mia vita, sulla mia musica, sul mio lavoro. Nelle mie ore buie, ho la certa sensazione che ogni cosa al di fuori di questa unica cosa non ha significato. La complessità e la multisfaccettatura mi confondono solamente, e devo ricercare l’unità. Ma cos’è questa unica cosa? E come posso trovare la mia strada verso di essa? Tracce di questa cosa perfetta appaiono in molte sembianze – ed ogni cosa che non è importante scivola via. Tintinnabuli è così. Eccomi solo col silenzio. Ho scoperto che è abbastanza quando anche una sola nota è magnificamente suonata. Questa unica nota, o un battito calmo, o un momento di silenzio, mi confortano. Lavoro con pochissimi elementi – una voce, due voci. Costruisco con i materiali più primitivi – con l’accordo perfetto, con una specifica tonalità. Tre note di un accordo sono come campane ed è perciò che chiamo questo tintinnabuli“.

 Il Cantus in memoriam Benjamin Britten è il primo risultato di questo nuovo modo di procedere cui seguiranno i due magnifici movimenti di Tabula Rasa, Ludus e Silentium, e poi negli anni dopo l’abbandono forzato dell’Unione Sovietica, dove la musica del grande compositore estone diviene motivo di ostracismo ed ostilità, altre grandi composizioni come Fratres, Spiegel im Spiegel, Festina Lente, Für Alina fino alle composizioni di musica sacra, genere quasi dimenticato per i musicisti dell’ultimo secolo.

 Una musica ottima per difendersi dal rumore che sovrasta quotidianamente ogni azione e che si amplifica nel formicaio impazzito degli ultimi giorni dell’anno.