L’intonarumori

Cerco di rompere il silenzio ovattato di questo sabato di coprifuoco con gli intonarumori di Luigi Russolo, pittore e musicista futurista che potrebbe giustamente reclamare i diritti di copyright su tanta musica industriale venuta nei decenni a seguire. Largo allora a crepitatori, gorgogliatori, rombatori, ronzatori, scoppiatori, sibilatori, stropicciatori e ululatori.

La lava e l’elefante

C’è stato un tempo felice in cui MTV Italia non esisteva. C’era invece una più ruspante Videomusic che rimpiango. Non solo per il concerto acustico dei CSI, ma perché in generale riusciva a far passare anche – e scrivo anche perché d’altronde non siamo nel migliore dei mondi possibili – musica decente. Addirittura in un programma come il Roxy Bar di Red Ronnie si riusciva a trovare qualcosa da salvare.
Ricordo che c’erano questi due videoclip simili nella musica e nella regia: uno era Bull in the heather dei Sonic Youth, l’altro era di un gruppo chiamato Uzeda.
Ci volle del tempo per scoprire che questi ultimi erano catanesi, avevano partecipato alle John Peel sessions della BBC (che è ben altro dal Roxy Bar di Red Ronnie), erano riusciti a farsi registrare il disco da Steve Albini e poi a pubblicare con la Touch and Go, una delle più importanti etichette indie degli States. Ma nonostante tutto questo e un tour, quello del 2018, celebrativo del trentennale della band, rimangono dei quasi carneadi .

Cinque dischi in vent’anni, tanta rabbia e una voce, quella di Giovanna Cacciola, che pare sempre sull’orlo del baratro, pronta a cadere in quel cratere che non smette mai di dispensare lava. L’urlo di una terra, quella etnea, continuamente stuprata.

 

Apparecchi rotti e mezzi rotti

L’album Sinistri fu la terza uscita discografica degli Starfuckers di Manuel Giannini, Alessandro Bocci e Roberto Bertacchini dopo l’esordio di Metallic Diseases e il miniLP Brodo di cagne strategico. Il noise-rock delle prime uscite viene ulteriormente fratturato e decomposto, pulviscoli di elettronica e field recordings rendono la loro musica sempre più nebulosa e astratta ma ancora capace assestare pugni nello stomaco con un pezzo come Ordine pubblico.

Atti osceni

Nel 1988 Steve Albini, messa da parte l’esperienza dei Big Black arruola la sezione ritmica dei seminali Scratch Acid,  il batterista Rey Washam e il bassista David Sims e dà vita ai Rapeman: un EP intitolato Budd e un LP, Two Nuns and a Pack Mule, entrambi licenziati dalla Touch & Go, poi lo sciogliete le righe prima di varare gli altrettanto formidabili Shellac.

Spietato negli effetti chitarristici, osceno nei testi, esemplare l’attacco ai Sonic Youth, colpevoli agli occhi del nostro di essersi venduti alla major discografiche con Kim Gordon’s painties, Albini ridisegna i confini del noise e dell’hardcore. C’è già tutto: i Nirvana (che vedranno proprio Albini al mixer per l’album In Utero), i Jesus Lizard, gli Slint verranno solo in seguito.

Spazio subaracnoideo

All’interno dello spazio subaracnoideo, situato tra l’aracnoide e la pia madre, scorre il liquor o liquido cefalo-rachidiano. Un liquido limpido che è anche detto acqua di roccia e regola la perfusione sanguigna in modo che avvenga a pressione costante.

E’ in queste zone del cervello che si situa la musica di Mason Jones, da San Francisco, e del suo progetto Subarachnoid Space. Le lunghe jam pischedeliche che fecero la fortuna dei gruppi della Bay Area vengono aggiornate ai tempi del noise. Almost Invisible del 1997 è la loro prova più riuscita.

L’aspirante suicida

Le cronache narrano che nelle intenzioni questo disco doveva essere il primo degli Oxbow e il testamento di Eugene S. Robinson, ex pugile e cantante della succitata band di San Francisco, aspirante suicida.

Per sua e nostra fortuna il gigantesco Eugene, che sul palco gigioneggia in mutande, non ha mantenuto l’originale proposito e ha sfornato con parsimonia altri dischi (sette dall’esordio nel lontano 1989) tutti da ascoltare dove. Il vocione soffertamente blues di Robinson è accompagnato da ritmiche ora blues, ora jazz, ma sempre pronte a deragliare in territori noise.

Ascensione agli inferi

Fare musica d’avanguardia usando gli strumenti del rock. Questa è stata la missione di Glenn Branca, musicista americano, cattivo allievo dei padri del minimalismo tanto da essere etichettato come fascista da John Cage!

Incurante delle critiche Branca ha esplorato a lungo le mille possibilità di estorcere suoni alle chitarre elettriche lavorando su improbabili accordature e scordature sin dall’esordio discografico sulla lunga distanza di The Ascension, nel 1981 con un sestetto composto da Ned Sublette, David Rosenbloom, Lee Ranaldo dei Sonic Youth e lo stesso Branca alle chitarre, Jeffrey Glenn al basso e Stephan Wischerth alla batteria.

Banditi i sogni (Not All Blacks #2)

L’isolamento di territori come la Nuova Zelanda è stato il presupposto per lo sviluppo di una fauna e una flora completamente autoctona. Musicalmente si potrebbe fare lo stesso discorso: la distanza, enorme in tempi in cui internet era ancora in fase embrionale, ha favorito lo sviluppo di una scena assolutamente originale. Tra i frutti migliori c’è questo This is not a dream dei Dadamah, quartetto che vedeva il chitarrista Roy Montgomery, figura fondamentale della scena musicale neozelandese, affiancato dalla bassista Kim Pieters, la tastierista Janine Stagg e il batterista  Peter Stapleton. Un disco da sonni inquieti dove la psichedelia sixties viene maltrattata alla maniera dei Velvet Underground, il tutto ovviamente registrato in bassa fedeltà.

Zucche soniche

Zucche piene per la notte d’Ognissanti. La gioventù sonica nel pieno della giovinezza. E’ il 1985, l’anno di Bad Moon Rising, zucca esplosa in copertina, album maledettamente ostico culminante nel finale assassino di  Death Valley ’69 dove al quartetto newyorkese si aggiunge Lydia Lunch.  Ed è l’anno in cui viene registrato il singolo Flower/Halloween.

La B-side, Halloween, una canzone bisbigliata da una morbosa e sensuale Kim Gordon che racconta una storia perversa di abbandono carnale, avrà più fortuna e sarà anche riproposto dai Mudhoney nello split in cui i Sonic Youth reinterpreteranno la celebre Touch me I’m Sick del gruppo di Seattle.

Il contrappasso (Not All Blacks #1)

“Se esiste l’inferno, i fans dei Beatles passeranno l’eternità ad ascoltare questo disco”

Questa è una delle mie citazioni preferite, l’autore è Piero Scaruffi, l’uomo capace di compilare migliaia di schede relative a cantanti e band di ogni epoca e provenienza. Da adolescente ho letto avidamente i volumi della sua Storia del Rock edita dall’Arcana, immaginandomi dischi che in assenza della rete era all’epoca impossibile procacciarsi, e ancora oggi continuo a sbocconcellare le recensioni del suo sito sempre in cerca di nuove scoperte.

La citazione lapidaria del nostro riguarda una delle gemme più preziose del rock neozelandese, Harsh ’70s Reality dei The Dead C, doppio LP uscito nel 1992 ma registrato nei tre anni precedenti, aggiornamento della psichedelia degli anni ’70 all’epoca del noise e del low-fi. Beatlesiani e altre mammolette assortite sono avvertite: questo è un tour de force per orecchie allenate.