Cent’anni di Bauhaus oggi. E non mi riferisco all’omonimo gruppo di Peter Murphy ma alla scuola di arte e design tedesca cui si era ispirato per il nome della band. Ma la scuola fondata a Weimar da Walter Gropius e che diverrà presto modello per tutta Europa prima dell’avvento del nazismo cercò di rinnovare anche il teatro e la danza lasciandoci in eredità il Triadisches Ballett, opera coreografica di Oskar Schlemmer su musiche di Paul Hindemithpresentata per la prima volta nel 1922 a Donaueschingen.
“I am the proprietor of the Penguin Cafe, I will tell you things at random.”
L’etichetta Obscure Records Ltd nacque per volontà di Brian Eno nel 1975 per fare luce su musiche oscure. Durò lo spazio di un triennio e una decina di pubblicazioni. Tra queste, nel 1976, l’esordio della Penguin Café Orchestra di Simon Jeffes.
Jeffes, chitarrista, era accompagnato dal violoncello di Helen Liebmann, dal violino di Gavyn Wright e dal piano elettrico di Steven Nye. La musica della creatura di Jeffes, sospesa tra musica rinascimentale e barocca e suggestioni etniche, è qualcosa di assolutamente fuori dai generi e perciò preziosa.
Pare che l’idea del gruppo fosse balenata a Jeffes nel ’72 quando rimase vittima di un’intossicazione alimentare nel sud della Francia. Le cose potevano andare sicuramente peggio!
“Mi par d’esser con la testa / in un’orrida fucina / dove cresce e mai non resta / delle incudini sonore / l’importuno strepitar. Alternando questo e quello / pesantissimo martello / fa con barbara armonia / muri e volte rimbombar. / E il cervello poverello / già stordito sbalordito / non ragiona, si confonde, / si riduce ad impazzar.”
Così termina il primo atto del Barbiere di Siviglia di Gioacchino Rossini. E la mia testa, sempre pronta a partire per la tangente, finisce per rotolare in territori lontanissimi, nel tempo e nello spazio, da quelli del grande compositore pesarese e precisamente verso il pianeta Kobaia.
Ideatore della folle saga di Kobaia, pianeta colonizzato da un gruppo di uomini in fuga dalla Terra per fondare una nuova civiltà in cui vivere in giustizia e armonia, è il francese Christian Vander con i suoi Magma. Ogni disco dei Magma costituisce un capitolo della saga dei Kobaiani, la musica è un miscuglio di generi, dal jazz al progressive alla musica classica, dove domina una tensione drammatica creata dal sovrapporsi dei cori e il cui cantato è in Kobaiano, lingua appositamente inventata da Vander e soci!
Dopo un esordio più disordinato e caotico nel 1970, i Magma mettono meglio a fuoco il loro suono con Magma 2 (noto anche come 1001° centigrades) e soprattutto con Mekanik Destruktiw Kommandoh del 1973.
In questo terzo capitolo il protagonista è Nebehr Gudahtt che da Kobaia giunge sulla Terra a portare, inascoltato, le sue parole di saggezza ai terrestri con lo scopo di salvarli dalla tragica fine a cui sono destinati.
“Se Matrilineare aiutasse alla vita, anche a una sola, credete, sarebbe per tutti un pugno alla paura.”
Così scriveva Massimo Zamboni nel presentare una compilazione di ninne nanne nata da un’idea del Consorzio Produttori Indipendenti e che raccoglieva voci femminili del Consorzio: Mara Redeghieri degli Ustmamò, Valeria Cevolani e Roberta Vicinelli dei Disciplinatha, Ginevra Di Marco dei C.S.I. e quelle meno note di Il Grande Omi, Divine, Eh?, Mira Spinosa, estAsia. Spiccava poi la presenza di Cristina Donà e delle nonne del Coro delle Mondine di Correggio.
“Onori alle basi solide, basta riconoscerle ed accettarle per schivare i rischi, che la vita non riesci a rinchiuderla, quando decide di scorrere.”
Tra le poche ma interessanti uscite discografiche della Neon Records ci furono anche gli Spring, da Leicester. Il loro unico album uscito nel 1971 si segnala per romantico progressive caratterizzato dal suono del mellotron.
Compositore capace di spaziare dalla musica seriale a quella sacra, Claude Ballif (1924 -2004), studia negli anni cinquanta a Darmstadt con Pierre Boulez, Bruno Maderna, Luciano Berio, Luigi Nono e Karlheinz Stockhausen. Nei primi anni ’60 avviene l’incontro con il Groupe de Recherches Musicales di Pierre Schaeffer che porterà alla creazione di Étude au ressort e Points, Mouvements, composizioni nate dalla manipolazione di nastri magnetici.
“E proteggimi dai lacrimogeni / E dalle canzoni inutili”
A me, orfano dei C.S.I., colpì al primo ascolto quella chitarra fin troppo nota: era infatti quella di Giorgio Canali che suonò e produsse il disco d’esordio de ‘Le luci della centrale elettrica’ nome dietro il quale si nascondeva il ferrarese d’adozione Vasco Brondi. L’amore per i paesaggi urbani malati e intossicati, paesaggi che si fanno personaggi come in certi libri di J.C. Ballard (vedi ad esempio La mostra delle atrocità) me lo fecero eleggere come mia personale colonna sonora degli anni zero. Un esordio folgorante quel Canzoni da spiaggia deturpata a cui sono seguite prove meno a fuoco: forse troppe le aspettative creatisi attorno al personaggio Brondi o forse l’inevitabile corollario di un mercato, specie quello musicale, all’insegna dell’usa e getta: sovraesposto e spremuto come un limone non è riuscito poi a distillare le poche gocce rimaste da quel folgorante esordio del 2008.
π – Il teorema del delirio è la pellicola indipendente del 1998 con cui Darren Aronofski si è fatto conoscere sulla ribalta cinematografica prima dei successi di The wrestler, Il cigno nero, Requiem for a dream.Premiato al Sundance festival il film è stato girato in un bianco e nero dalla grana grossa e vanta una strepitosa interpretazione di Sean Gullette nel ruolo del matematico ebreo pazzo che cerca risposte tra le equazioni della borsa di Wall Street e i numeri della Cabala. Grande colonna sonora in cui figurano Clint Mansell (sua anche la colonna sonora del successivo Requiem for a dream), Aphex Twin, Roni Size, Autechre, Massive Attack, Orbital, Gus Gus.
In genere gli ascensori non fermano al tredicesimo piano semplicemente perché non c’è un tredicesimo piano non c’è. Non porta bene il numero 13 così la numerazione passa direttamente dal dodicesimo al quattordicesimo.
Sta lì in mezzo, dove non si vuol mettere il naso la musica dei texani The 13th Floor Elevators, tra i primi alfieri della psichedelia, con il loro garage rock allucinato caratterizzato dal jug elettrificato di Tommy Hall, in pratica un bottiglione suonato a suon di pernacchie che marchierà a fuoco You’re Gonna Miss Me, primo grande successo della band, e dalla voce del leggendario Roky Erickson, tra le prime vittime del LSD e il cui arresto e conseguente ricovero in ospedale psichiatrico sancirà di fatto la fine del gruppo.
C’è stato un tempo felice in cui MTV Italia non esisteva. C’era invece una più ruspante Videomusic che rimpiango. Non solo per il concerto acustico dei CSI, ma perché in generale riusciva a far passare anche – e scrivo anche perché d’altronde non siamo nel migliore dei mondi possibili – musica decente. Addirittura in un programma come il Roxy Bar di Red Ronnie si riusciva a trovare qualcosa da salvare.
Ricordo che c’erano questi due videoclip simili nella musica e nella regia: uno era Bull in the heather dei Sonic Youth, l’altro era di un gruppo chiamato Uzeda.
Ci volle del tempo per scoprire che questi ultimi erano catanesi, avevano partecipato alle John Peel sessions della BBC (che è ben altro dal Roxy Bar di Red Ronnie), erano riusciti a farsi registrare il disco da Steve Albini e poi a pubblicare con la Touch and Go, una delle più importanti etichette indie degli States. Ma nonostante tutto questo e un tour, quello del 2018, celebrativo del trentennale della band, rimangono dei quasi carneadi .
Cinque dischi in vent’anni, tanta rabbia e una voce, quella di Giovanna Cacciola, che pare sempre sull’orlo del baratro, pronta a cadere in quel cratere che non smette mai di dispensare lava. L’urlo di una terra, quella etnea, continuamente stuprata.