Il succo e l’ombra

Barney Kessel è stato un grande chitarrista jazz. Nato nel 1923 da una famiglia di origine ebrea ungherese si affermò come prezioso session man, partecipando nel 1966 addirittura alle registrazioni di Pet Sounds dei Beach Boys.

Nel 1944 partecipò al cortometraggio Jammin’ the Blues, in pratica una jam session, che vedeva la presenza, tra gi altri, di Lester Young, Red Callender, Marie Bryant. Essendo Barney l’unico musicista bianco del cast, la regia non trovò di meglio che farlo suonare nella penombra e, al momento di eseguire il primo piano delle sue mani, di tingergliele con succo di mirtillo.

In cauda venenum

Il 2024 si chiude portandosi via Paolo Benvegnù. Giusto quest’anno gli era stata assegnata la Targa Tenco a venti anni dall’esordio solista con Piccoli fragilissimi film. Non voglio con questo scrivere un inutile e superfluo coccodrillo ma solo invitare all’ascolto di un grande autore di canzoni, qui una delle mie preferite.

Lessico e nuvole

Disco indefinibile, scrivere abstract hip-hop o hip-hop sperimentale aiuta poco, serve solo l’ascolto, doveroso. Il capolavoro dei cLOUDDEAD, trio californiano, inizialmente edito in sole 50 copie all’inizio nel 2000 e poi ristampato in più corposa tiratura l’anno successivo, continua ad essere un giocare con le forme delle nuvole.

Branchi e branchie

Disco notturno e acquatico, tra i miei preferiti del 2023, questo Love in Exile composto dalla cantante di lingua urdu Arooj Aftab, dal pianista jazz Vijay Iyer e dal polistrumentista Shahzad Ismaily.

La Aftab aveva definito il trio all’opera, nello studio di registrazione di New York, come “a school of fish” ovvero un banco di pesci. Nei siti italici è purtroppo divenuto un branco di pesci! E tra banco e branco meglio sarebbe stata una più maccheronica e genuina “scuola di pesci” che tanto i banchi, a scuola, non mancano.

 

 

D’umani umami

Uno dei miei dischi preferiti dell’anno. La rodata coppia Blixa Bargeld e Teho Teardo trova con Christian & Mauro la giusta quadra. Non so se il titolo dell’album rappresenti una presa di distanza dalle loro esperienze musicali ma lo trovo il lavoro più coeso ed omogeneo del duo. Non che i precedenti album non fossero di assoluto valore ma qui archi, elettronica e parole, in italiano, inglese e tedesco si incastrano perfettamente tra riflessioni su quella materia oscura che è il tempo e la morte senza rinunciare all’ironia, come il riferimento alla teoria del Big Cake, l’universo che lievita, citato in Dear Carlo (Rovelli) qui emerito fisico e pasticciere.

 

 

Una cospirazione lunga mezzo secolo

Invidio chi ha sentito pochi dischi e riesce a sorprendersi ad ogni nuovo ascolto. Oramai mi capita di rado ma capita. Qualche notte fa, mentre ero al volante, la mia adorata Controradio mi ha fatto sobbalzare: con mezzo secolo di ritardo ho fatto conoscenza di Jeanne Lee, cantante jazz, compositrice e poetessa. Il suo primo album solista, Conspiracy, viene registrato nel 1974. Affiancata dal marito Gunter Hampel, vibrafonista tedesco, Sam Rivers al sax, Jack Gregg al contrabbasso, Perry Robinson al clarinetto, Mark Whitecage al clarinetto alto, Allan Praskin al clarinetto, Marty Cook al trombone e Steve McCall alla batteria, il disco travalica il genere jazz e si dispiega in un caleidoscopio di suoni dove la voce multiforme di Jeanne Lee si erge ad assoluta protagonista. Da ascoltare!

Il gufo e l’orso

Il gufo cieco, nomignolo affibbiato da John Fahey al miope Alan Wilson, é polistrumentista e profondo studioso del blues. Dopo aver partecipato alle registrazioni di Great San Bernardino Birthday Party di Fahey, fonda, con l’orso Bob Hite, corpulento fanatico di vecchi e polverosi vinili, i Canned Heat. Partecipano ai leggendari festival di Monterey e Woodstock e nel mezzo trovano anche l’hit da classifica con On the road again, ennesima rilettura di un brano degli anni venti e precoce testamento di Wilson, che muore nel ’70, a soli 27 anni.

I netturbini del surf

L’esercito del surf non resse l’urto con l’invasione britannica capitanata dai Beatles: all’epoca ci furono band americane che arrivarono a spacciarsi per inglesi. I Trashmen, da Minneapolis, che pure avevano piazzato al numero 4 di Billboard la loro Surfin’ Bird si videro  ben presto costretti ad accantonare un album già pronto e confezionato e a sciogliersi.

La loro Surfin’Bird, nata dal rimaneggiamento di due brani del gruppo doo-wop dei Rivingtons, ritornerà ciclicamente alla ribalta tanto essere usata da Kubrick in Full Metal Jacket e diventare tormentone spassosissimo di una puntata de I Griffin.

Sliding doors

Il 22 maggio del 71 un incredibile terzetto registra una breve performance per il programma televisivo Beat Club . I tre sono Florian Schneider, Michael Rother e Klaus Dinger ovvero i Kraftwerk in quei pochi mesi di interregno durante il quale Ralf Hutter ha lasciato il gruppo.

Quell’unica registrazione per l’emittente tedesca WDR, miniera d’oro per gli amanti del krautrock, spalanca mille suggestioni sul come sarebbe stato se da lì a poco Rother e Dinger non se ne fossero andati per registrare il primo capolavoro a nome Neu! e d’altra parte se  sarebbe stata così drastica l’accelerata elettronica di Schneider che ritroverà Hutter ma dovrà  fare i conti con l’assenza di strumenti umani.

Organizzazione per la realizzazione di concetti musicali comuni

Prima che Ralf Hütter e Florian Schneider lasciassero i compagni di università Basil Hammoudi, Butch Hauf e Alfred Mönicks nell’anonimato musicale per dare vita in tandem ai Kraftwerk, ebbero tempo di registrare, con la supervisione dell’onnipresente Conny Plank, l’album Tone Float accreditato alla Organisation zur Verwirklichung gemeinsamer Musikkonzepte dalla ragione sociale più lunga del tempo in cui restarono gruppo musicale. Ancora lontani dall’elettronica autostradale e robotica a cui ci abitueranno in seguito i due qui la fanno da padroni gli strumenti, a cominciare dal flauto traverso di Florian, per questo disco di torrido kraut.