Di guru ne servono due (Ohr Records #1)

Piove elettricità, anzi grandina, dal disco d’esordio del trio tedesco dei Guru Guru. UFO, tra le primissime uscite della Ohr, la benemerita etichetta tedesca con l’orecchio sulla label, è la pietra d’angolo, acuminatissima, della loro scarna produzione. Lontani dalle coeve derive cosmiche i protagonisti di cotanta potenza sono Aix Genrich alla chitarra, Uli Trepte al basso, Mani Neumeier alla batteria.

L’aspirante suicida

Le cronache narrano che nelle intenzioni questo disco doveva essere il primo degli Oxbow e il testamento di Eugene S. Robinson, ex pugile e cantante della succitata band di San Francisco, aspirante suicida.

Per sua e nostra fortuna il gigantesco Eugene, che sul palco gigioneggia in mutande, non ha mantenuto l’originale proposito e ha sfornato con parsimonia altri dischi (sette dall’esordio nel lontano 1989) tutti da ascoltare dove. Il vocione soffertamente blues di Robinson è accompagnato da ritmiche ora blues, ora jazz, ma sempre pronte a deragliare in territori noise.

Chiedi alla ruggine

I Rodan ressero un solo album prima di disintegrarsi. Ma come in certe reazioni nucleari incontrollate l’energia liberata fu di portata terrificante: dai resti dei Rodan sono partite le avventure sonore di June of ’44, Shipping News, Rachel’s, Sonora Pine. Un math-rock, quello del quartetto di Louisville, Kentucky, nel solco degli Slint ma con tanta rabbia in corpo in più.

 

La breve stagione di una gioventù colossale

Gli Young Marble Giants durarono il tempo di un disco e una manciata di singoli. L’unico LP Colossal Youth, uscito nel 1980 per la Rough Trade, è composto da brevi brani caratterizzati dalla voce glaciale di Alison Statton, l’organo di Stuart Moxham e il basso del fratello Philip. La batteria elettronica e la quasi assenza della chitarra conferiscono al disco quel tipo di sound che sarà caratteristico del post-punk.

L’oro blu

“Sputi” è un estemporaneo ma perfettamente riuscito episodio musicale di Marco Paolini e del suo “teatro civile”.  Accompagnato dai Mercanti di Liquore il disco era nato attorno a un nucleo di tre pezzi, ‘Due parti di idrogeno per una d’ossigeno’, ‘Regola acquea’, ‘Mare Adriatico’, dedicati alla difesa dell’acqua, l’oro blu costantemente minacciato da chi vorrebbe arrogarsene la proprietà. A questa  manciata di brani finirono per sommarsi pezzi antimilitaristi originali o estrapolati da testi di Erri De Luca, Gianni Rodari, Mario Rigoni  Stern. Ed altri tratti dai Canti Orfici di Dino Campana e dalle opere di Biagio Marin, Giacomo Noventa, Ernesto Calzavara.

Ascensione agli inferi

Fare musica d’avanguardia usando gli strumenti del rock. Questa è stata la missione di Glenn Branca, musicista americano, cattivo allievo dei padri del minimalismo tanto da essere etichettato come fascista da John Cage!

Incurante delle critiche Branca ha esplorato a lungo le mille possibilità di estorcere suoni alle chitarre elettriche lavorando su improbabili accordature e scordature sin dall’esordio discografico sulla lunga distanza di The Ascension, nel 1981 con un sestetto composto da Ned Sublette, David Rosenbloom, Lee Ranaldo dei Sonic Youth e lo stesso Branca alle chitarre, Jeffrey Glenn al basso e Stephan Wischerth alla batteria.

Il lupo e la pecorella

Lasciatosi alle spalle la hit pop Un’ora sola ti vorrei degli Showmen, il sassofonista James Senese e il batterista Franco Del Prete arruolano il bassista britannico Tony Walmsley e il tastierista americano Mick Harris per l’esordio, nel 1975, dei Napoli Centrale, miscela esplosiva di vigoroso jazz-rock e canzone di denuncia sociale. Testi in dialetto partenopeo che affrontano emigrazione, spopolamento delle campagne, disparità sociale, satira del potere.

Lotta con gli angeli

“With unforced humanity and poetry Chimenti wrestles with his angels and in the process acquires a unique voice with which to comunicate what is gleaned”. (David Sylvian)

Artista di grande sensibilità Andrea Chimenti è passato dalla new wave dei Moda negli anni ottanta a svariati progetti e collaborazioni dal singolo Ti ho aspettato (I Have Waited for You) realizzato con David Sylvian  alle esperienze con la compagnia francese di danza Silenda a quella teatrale con Il deserto dei Tartari di Buzzati fino alla recente riproposizione del repertorio di David Bowie.

Vale la pena riascoltarsi allora Qohelet, uscito nel 1997 per i Taccuini del Consorzio Produttori Indipendenti, l’ambiziosa collana di musica aliena dei C.S.I. di Gianni Maroccolo. In questo disco Chimenti in compagnia dell’attore Fernando Maraghini reinterpreta brani tratti dall’omonimo libro biblico, da Giuseppe Ungaretti e Fernando Pessoa.

Tutto grasso che cola

La scena musicale francese degli anni settanta ha prodotto esperienze musicali di assoluto rilievo. Un album da riscoprire è l’esordio dei Lard Free di Gilbert Artman, prolifico polistrumentista, in seguito alla testa di Urban Sax e Catalogue oltre che autore in proprio di colonne sonore.

Questa prima prova è un avventuroso jazz-rock ben illustrato dalla copertina dell’album: un coltello che incide una nuvola. E l’iniziale Warindbaril pare davvero strappare il  cielo dipinto di rosso di una quinta teatrale.

Banditi i sogni (Not All Blacks #2)

L’isolamento di territori come la Nuova Zelanda è stato il presupposto per lo sviluppo di una fauna e una flora completamente autoctona. Musicalmente si potrebbe fare lo stesso discorso: la distanza, enorme in tempi in cui internet era ancora in fase embrionale, ha favorito lo sviluppo di una scena assolutamente originale. Tra i frutti migliori c’è questo This is not a dream dei Dadamah, quartetto che vedeva il chitarrista Roy Montgomery, figura fondamentale della scena musicale neozelandese, affiancato dalla bassista Kim Pieters, la tastierista Janine Stagg e il batterista  Peter Stapleton. Un disco da sonni inquieti dove la psichedelia sixties viene maltrattata alla maniera dei Velvet Underground, il tutto ovviamente registrato in bassa fedeltà.